Ci ritrovammo d’ improvviso teneramente abbracciati, a sfiorarci le carni e l’ anima.
Languidamente scoprivamo le dolci colline del nostro corpo,
lasciando che la pelle,
come pasta molle,
si levigasse tra le nostre mani.
Come ipnotizzati da una musica troppo dolce e lasciva che non voleva smettere,
drogati sotto l’effetto dei sogni,
ci confessavamo segreti e amori impronunciabili.
Che non erano segreti.
E non era neanche amore.
Ma solo una dolce altalena sui cui ci cullavamo per sanare le ferite di vite passate, troppo aride e di passioni deserte.
Ma come ogni bel sogno ad un tratto mi dovetti svegliare,
spinta da necessità fisiche e da un’irrazionale voglia di tornare alla realtà.
Un consapevole desiderio di non oltrepassare i limiti della consapevolezza razionale,
di non poter soddisfare desideri selvaggi.
Decisi di scendere dal letto,
tornare con i piedi a terra
e sentire il freddo calore del pavimento umido.
Che era tanto più dolce allora,
rispetto al brusco risveglio che avrei fatto se avessi continuato a sognare.
Sognare cose che avrebbe visto solo e soltanto la mia mente.
Sensazioni ed emozioni, sospese in aria, che non trovarono uomo da abbracciare.
Scesi dal letto e dai miei sogni.
Rimasi con l’ animo arido e la carne bagnata.
Rimasi falciata da un’emozione univoca,
tra me e me,
che si traeva e contraeva schiantandosi soltanto con i miei stessi desideri irrealizzabili.
Rimasi ferma sul letto a domandarmi se tutto ciò fosse stato falso o incredibilmente tangibile.
Se fossero i sogni che nn riuscivano ad amarmi,
o se forse io amassi più loro,
immaginiferi e decadenti o una realtà crudele ma concreta.
Rimango sospesa,
scendo dal letto ma nn apro i miei occhi.
In bilico,
tra il freddo pavimento
e il caldo della mia mente.

 

Emanuela Falcone

photo: Alex Benetel


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