L’Uomo Col Cappotto taglia la città, in un mondo ovattato che esclude i rumori di fondo per sostituirli con una canzone che incede lentamente, in note distribuite con una sapiente melodia nostalgica.

E’ una serata fresca ma gradevole, in questa eterna primavera che non ha lasciato spazio all’inverno neanche in febbraio. Eppure l’Uomo Col Cappotto, dentro, sta congelando. Il suo mondo è un prato grigio, bruciato dalla neve cristallizzata in ghiaccio.

Mentre cammina, solitario, l’Uomo Col Cappotto pensa al Suo Dio. Il Suo Dio è un po’ diverso da quello della maggior parte dei cristiani: è molto personale, amorevole, per niente vendicativo. Non condanna i gay ed è comprensivo con chi sbaglia, fino ad arrivare a preferire loro a chi è troppo orgoglioso della propria perfezione. Un bonaccione. Sono sempre andati d’accordo, pensa.

Il Suo Dio è sempre stato presente nella vita dell’Uomo Col Cappotto: un’essenza impercettibile ma inequivocabile, che nei momenti più delicati non è stato a guardare passivamente, ha mosso l’aria – un refolo quasi irrilevante – e gli ha fatto sentire la sua presenza, il suo sostegno.

L’Uomo Col Cappotto è una persona mediamente scettica: scienziato, poco incline a credere a baggianate spacciate per eventi soprannaturali dal primo predicatore o mistificatore televisivo, che ammantano le loro fantasie di prove scientifiche facilmente smontabili. Eppure si chiede come faccia la gente a non credere all’esistenza di un dio. Qualunque esso sia. Che sia Il Suo Dio o qualsiasi altro, con connotati più o meno personalizzabili. Ma non riuscirebbe a immaginare un mondo privo di un’intelligenza superiore. Non riuscirebbe a catalogare quei condizionamenti della sua vita come semplici coincidenze.

Tutti hanno bisogno di credere in qualcosa, di chiudere gli occhi davanti a una mezza verità di cui fa piacere fidarsi.

Questa è stata la prima e unica volta in cui non si sono trovati d’accordo. Ma anche in questo caso Il Suo Dio è stato irremovibile nell’imporre il proprio inequivocabile punto di vista. In ben due occasioni, mentre l’Uomo Col Cappotto si era ritrovato privo di difese immunitarie, incapace di resistere a quella che Il Suo Dio chiamava tentazione e lui, invece, felicità, ha sentito una mano che lo trascinava via prepotentemente, contro la sua volontà, lo strappava alla possibilità a cui era andato incontro.

Ne avevano discusso centinaia di volte: tu sei il dio dell’amore, come puoi pensare che questo sia sbagliato? L’Uomo Col Cappotto aveva cercato di far prevalere il suo punto di vista, prima con pazienza, poi anche con una certa veemenza, arrivando persino a inveire contro Il Suo Dio. Quello, invece, con la consueta pacatezza serafica, non aveva mai risposto a tono: aveva sfoderato un sorriso comprensivo, quasi compassionevole, e ogni volta aveva scosso la testa.

Poi, quando era arrivato il momento di farsi valere, aveva fatto subito capire chi era il capo. Senza dubbi e senza esitazioni: due colpi di mano con cui aveva condizionato il corso degli eventi facendo in modo che non succedesse ciò che non doveva.

Quello strattone così potente e inequivocabile con cui l’aveva strappato via dalla strada che aveva intrapreso non poteva essere chiamato, semplicemente, destino.

Il destino è una cosa cieca, ineluttabile.

No: quella era stata una precisa volontà, espressa con fermezza e decisione. Adesso basta: qui comando io, non dimenticartelo.

Come fate a non crederci? Si chiede l’Uomo Col Cappotto.

E intanto cammina, nella notte, da solo. Tiepido fuori e gelido dentro.

(TESTO E FOTO M. RANIERI)

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