C’era una volta in un paese non troppo lontano una principessa bella bellissima che viveva in un magnifico castello immerso in un tempo che non è mai passato. Era la moglie del principe più sognato e desiderato del mondo e lui, proprio lui, le aveva promesso l’amore eterno, quello da favola classica vissero-per-sempre-felici-e-contenti, quel tipo d’amore che quando finisce ti lascia addosso tutto il contrario di quello che è stato e ti cambia per sempre. Questo si, è per sempre. Tutte le brutte e belle damine del regno cercavano di accattivarsi la bontà e le attenzioni del principe ma lui aveva occhi solo per lei, che più di tutte lo aveva conquistato, chissà come poi. Chissà perché. Resistette facilmente a tutto e a tutte fino a quando una pianta cattiva non riuscì a stregarlo con un sortilegio maligno che piano piano, giorno dopo giorno, lo trasformò mostruosamente. Prima la lingua biforcuta, poi gli occhi grandi e sgranati e infine le mani simili a zampe. Qualche mese bastò per trasformarlo in quello che non era mai stato: un orco. Un orco cattivo e spietato, capace di ingiurie spregevoli e violenze feroci di cui neanche lui si rendeva conto, tanto era misteriosa la forza dell’incantesimo maledetto.

Povera principessa, sola com’era in quella gabbia dorata che lei stessa aveva scelto con passione e ricamato con dovizia. Non si trattò di coraggio, quella notte no, non fu coraggio, fu una questione di sopravvivenza. Mentre l’orco amato russava come un maiale grasso puzzolente, lei prese con sé lo scrigno più prezioso che custodiva sotto al letto e se ne scappò via, di notte se ne scappò lontano, senza nulla addosso; cominciò a correre verso il bosco buio che faceva da sfondo ai suoi incubi più neri e mentre correva i rovi le graffiavano le gambe, le braccia, il viso. Niente, non sentiva più nessun dolore lei, presa com’era dalla foga di scappare, scappare, scappare. Riuscì a trovare una grotta abbastanza nascosta da poter proteggersi all’interno e così la scelse, la sua nuova casa. La addobbò con tutto quello che lei amava: c’erano fiori profumati alle pareti, ramoscelli intrecciati che pendevano giù dal soffitto, foglie secche raccolte in piccole ciotoline, nastri e farfalle ovunque come in un sogno di bambina. C’era il silenzio, quello in cui si rintanava. C’era tutta la sua tristezza, tutta la sua paura. C’era il suo scrigno.

Passarono due anni così, due inverni e due primavere con quello scrigno sempre chiuso, in vista ma sempre chiuso, così che già da tempo era diventato come un vecchio soprammobile impolverato, buono solo a farsi dimenticare. Perchè no, lei non ci pensava più al suo scrigno prezioso o forse non voleva. Ecco, forse non voleva, tutto qua. Ogni tanto lo guardava da lontano e di cosa ci fosse dentro, poi,  non se ricordava neanche più. Successe che con fare svogliato un giorno lo aprì, tanto per spiare cosa ne era rimasto. Scrigno d’oro, scrigno prezioso rivestito di seta e drappi pregiati. Cosa, cosa volete che contenesse? Monete, mappe di tesori nascosti, chiavi di castelli immensi? No, nulla, nulla di tutto ciò. Dallo scrigno benedetto rotolò fuori una piccola conchiglia, piccola da star comoda nel palmo di una mano. D’un tratto si aprì e chiamò flebilmente:

–        Principessa, principessa, aiutami ti prego. Aiutami…

Allora la principessa la prese in mano, la guardò e quasi non la riconobbe, la sua conchiglia preziosissima. Aveva un’aria spenta, morente, di chi sta per abbandonarsi all’oblio, di chi è stato dimenticato da tempo, da troppo tempo. Si portò una mano alla bocca e inspirò tutta la paura che colorava il suo universo:

–        Cosa ho fatto! Cosa ho fatto!

Allora si precipitò fuori dalla grotta e ricominciò a correre di nuovo, correre correre e correre, fino ai confini del regno, fino a raggiungere quell’Altro regno, quello di cui conosceva solo il fetore nauseabondo. Era sicura di poterla salvare solo lì. Fu un attimo. Un salto e….

BOOM

…eccola nel mondo degli altri, in quel regno che si chiama Modernità. Paura, paura, aveva tanta paura, la conchiglia respirava a fatica e lei correva, correva per salvarla. Incontrò una donna super sexy in minigonna cortissima e tacchi altissimi ma non seppe aiutarla; poi vide un uomo dall’aspetto curato, lei si avvicinò ma quello tentò subito di baciarla senza motivo, così, forse per gioco. Non capiva, la poveretta. E allora ricominciò a correre e correre ancora con la conchiglia stretta nella mano. Un altro tipo lampadato le indicò l’ospedale non più lontano e finalmente ci arrivò.

–        Un ascensore, un ascensore vi prego, serve subito un ascensore…

Ma l’ascensore niente, non arrivava, o forse era lei che aveva troppa fretta. Fretta fretta fretta. Non morire non morire non morire. Ti prego non morire. Prese le scale e salì, veloce dai veloce, inciampò , si rialzò e poi risalì, veloce dai veloce. A ogni scalino un ghigno, una forza nuova, animale forse, una forza animale di quelle che vogliono vincere per forza. Ci arrivò finalmente con l’affanno che le sconvolgeva la faccia, con le guance rosse e i capelli scompigliati. Ci arrivò, al sesto piano. Entrò nella sala d’attesa e vide che tutti erano comodamente seduti in anonime poltroncine di plastica, sembrava ci stessero bene in quella mediocrità.

–        Dottore, dottore, gridò disperata. Un dottore per favore…

Dallo studio uscì un giovane in camice bianco e colletto verde, poteva avere 35 anni non di più, era magro e un po’ stempiato con la faccia simpatica di chi non gliene può fregar di meno.

–        Sta morendo dottore, aiutatela vi prego, sta morendo…

Aprì il pugno destro e mostrò la sua conchiglia benedetta, il tesoro più prezioso che aveva, l’unica cosa che aveva voluto salvare. Rinsecchita e agonizzante, la conchiglia mostrò i suoi occhi stanchi, pesanti, mentre col respiro affannato si dava alla morte.

Il dottore gettò uno sguardo veloce, poi portò le mani nella tasche del camice bianco, alzò le spalle e si rivolse alla principessa con aria distaccata:

–        Mi dispiace signora, lei ha sbagliato reparto, qui non possiamo aiutarla.

–        Ma…dottore…sta morendo.

–        Questo è il reparto di ginecologia, signora. Lei deve scendere giù al secondo piano.

–        Ma….dottore….

–        Si signora, al secondo piano, reparto cardiologia.

–        Ma…

Cristina Carlà

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