“Stillicidio carsico

e solfureo:

il dubbio,

basalto eroso

in questa granitica

valle

del non ritorno.”

 

Langue del suo grembo gramo, Petra altissima. Verticale. Cinta da rocce ignee e metamorfiche, minerali e cristalli. Splendore parto di piccone e cesello, sudato e dolente come le schiene curve dei suoi muti figli. Mirando il viandante merli e torrette, ponti e faraglioni aggrotta la fronte per la superbia dell’ingegno: dall’anima del monte finissimo artificio. Eppure l’immobilismo dolomitico di spigoli e guglie è violento, inquieto, arcigno : reverenza e terrore dal ferro e dagli opali.

 

“Petra…ti sento. Parlami…”

 

Immensa e verdissima Arborea, distesa accanto. Orizzontale. Viva, pulsante, spontanea…ghirlande d’artemisia e stelle alpine sulle chiome mosse dai venti. E negli occhi lo smeraldo di mantidi e felci, come tane di volpi le narici, serpi amaranto e belladonna sulle labbra schiuse. Colombe negli alveoli, prati odorosi lungo ventre e cosce…e boschi, cervi, doline, lepri…terra vergine e purpurea, vita distesa in tangente sui malleoli fossili di ere pregresse e senza tempo.

 

“Arborea, sorella e nemica…si crepano le mie rocce…pesano i secoli sugli uomini a cui mi sono offerta…e loro mi scavano e lacerano la carne. Non basta mai all’ingordigia di queste creature una qualche grandezza. Sempre più alti i palazzi, m’hanno costruita in gola voraci fucine…divoro me stessa come nelle leggende il serpente del tempo…morirò…Io invecchio, tu torni bambina…” disse la Città di pietra, ripiegandosi su se stessa per un istante come una rosa di ghiaccio.

 

“Amica, il mio regno risponde ad un ciclo superiore…lo sai! Natura disegna le rughe sul mio volto e lungo le cortecce degli alberi. Sono morta mille volte, invecchiata e ringiovanita…risorta da me stessa e sempre mutata pur restando intatta. Cavalco le lingue molli delle stagioni e delle ere, come ogni altra creatura. Mia Petra, hai scelto di cristallizzarti in una forma per seguire illusioni d’eternità e grandezza. Per paura di morire… venduta l’essenza tua purissima ad un tempo transitorio, alle armi e agli intrighi, agli abbagli del potere. M’avessi ascoltata, all’inizio dei tempi…” canta mesta l’upupa tra le mani della Donna degli alberi.

 

“Perchè non mi hai portata con te?” chiede Petra piangente.

 

“Per il rispetto che ti porto!” ride Arborea “posso io presumere sul tuo libero arbitrio? L’amplesso con la terra e gli uomini t’ha innamorata come una delle mie tortore…ti ho lasciata andare…”

 

“Sapevi che avrei sofferto…che la forma m’avrebbe delusa…” sussurrano in coro le rocce.

 

“Non mi avresti creduta! Come quando ti dissi che neanche i diamanti sono eterni come lo spirito… abbraccerò con l’edera le tue lapidi, tra mille anni…quando t’avranno svuotata del tutto e invocherai il mio nome perchè chieda agli uccelli di cantare per te…” col cuore gonfio di dolore la Donna degli alberi torna nei boschi.

 

“Arborea…avessi letto nei tuoi occhi verdi la cura che mi avevi riservato…e ora mi lasci, come io ti ho lasciata all’inizio dei tempi…che i tuoi fringuelli allietino le mie macerie…li ascolterò da un altro mondo…” serrate le palpebre Petra torna alle officine: una ruga in più sulla fronte.

 

“Lacrime azzurre

e libere:

un amore,

sorgente tradita

in questa fluida

pianura

del ritorno”

Delia Cardinale

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