Riemerso il pensiero da un reflusso di beata follia, abbraccio la violenza di una profondissima quiete. Forse perchè delle parole non so più che farne- lontani i tempi dell’incanto…credo solo agli occhi e alle mani, all’odore e al passo…

E come Cassandra vedo gli assassini del vero, eppure tace la mia rabbia di Gorgone: se i più non sanno ascoltarsi come possono non generare menzogne? E pure ascoltandosi, potranno mai bastare le parole a contenere quella verità? Le parole, in ogni sfumatura etimologica o soggettiva, sempre e comunque veicolo d’inganno: storia vecchia come la Genesi.

E per strada saranno le opere la misura del mio rispetto, non le parole, che odio e amo in ugual misura, come l’eresia del mio cuore sedizioso…

La cura delle parole servile al sentire: che siano un mezzo relativo e non il fine assoluto. Tradite e manomesse tutte le parole, calpestate, sprecate, rese inutili. Eppure mi hanno rapita, da bambina e tuttora le coltivo e cerco e creo: sgorgano a fiumi dalle viscere al nastro, in questa fabbrica di consapevoli chimere, grezze fino ai reni e al cesello…labor limae oltranzista ed eccentrico, umile e laborioso.

Nonostante tutta la fatica, ogni lemma s’arrende all’inesprimibile, chinando il capo. Tendere alla perfettibilità è una missione, sulla carta e nella vita, lasciando l’occulto e l’inespresso al dominio del silenzio…

Tutto ciò che è detto o scritto come l’ologramma infinitesimo della percezione. Imperfetta tutta l’arte e forse, per questo, carezzevole, umana e universale…speculare all’imperiosa esigenza di comunicare e insieme alla lusinga misterica del riuscirci a metà…

Il dire presuppone il non detto e l’indicibile.

Delia Cardinale

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