La sorpresa che non ti aspetti arriva in un martedì sera di inizio settembre: uno di quei momenti che, di per sé, avrebbero pieno diritto di essere soppressi dal calendario come la maggior parte dei lunedì dell’anno. Stai bivaccando su Twitter durante l’intervallo della partita Slovenia-USA dei mondiali di Basket, e di colpo tutti gli account che riguardano gli U2 lanciano il pacco bomba, contemporaneamente: il nuovo album degli U2 è disponibile DA SUBITO per download gratuito su iTunes. Sei costretto a rileggere la notizia più volte, da tutte le fonti, in italiano, in inglese, poi di nuovo in italiano: non ci sono dubbi, è proprio così!

Era quasi un anno, forse persino di più, che le notizie su un nuovo album si rincorrevano in una girandola di rumors e smentite, false copertine, tracklist inventate. Era così tanto tempo che arrivavi a chiederti – insieme a tutti gli altri fans – se non stesse succedendo qualcosa di strano, qualche litigio, qualche movimento sospetto.

Poi, a sorpresa, arriva l’esplosione: negli ultimi giorni si erano succedute un sacco di voci circa la possibile partecipazione della band di Dublino all’evento di lancio del nuovo iphone 6. Ci saranno? E’ una bufala? Forse sì, forse no. Se ci saranno, annunceranno qualcosa? Magari la data di pubblicazione del nuovo singolo? Chissà. Poi, dopo un’oretta di evento, eccoli, con la sorpresa in tasca e il sorriso sornione di chi sa di averla fatta grossa.

Intendiamoci: non è la prima volta che un artista rilascia un nuovo album in download gratuito. Allora dov’è la novità, l’evento rivoluzionario? Proviamo a ragionarci un po’ su. Prima di tutto: se di sicuro è successo già molte volte che qualche gruppo abbia permesso di scaricare gratuitamente il proprio nuovo album, è altrettanto certo che non era mai successo per una band del calibro degli U2. Finora, infatti, a farlo erano stati principalmente musicisti della scena indie, oppure gente che aveva bisogno di un lancio pubblicitario con cui cercare maggiore visibilità. Solo i Radiohead, fra i grandi nomi, hanno osato tanto in passato, ma l’hanno fatto con modalità e per ragioni ben diverse.

Però stamattina, improvvisamente, mi sono state più chiare alcune cose: la differenza di vedute fra i componenti del gruppo, che hanno sempre affermato che per loro la cosa più importante era che la musica potesse raggiungere il maggior numero di persone possibile – e dunque non avevano niente in contrario se qualcuno si scambiava sotto banco il cd – e le dichiarazioni del manager Paul Mc Guinnes, che si scagliava regolarmente contro qualsiasi novità del mercato musicale, ufficiale e non: la pirateria, il file sharing, Spotify. Il risultato l’abbiamo sotto gli occhi, oggi: ha prevalso la voglia di esserci, di farsi ascoltare, se Mc Guinness è stato silurato dopo trent’anni di collaborazione e il nuovo album esce libero da ogni vincolo, se non l’esclusiva con la Apple. E qui abbiamo l’altra grossa novità, perché non si può pretendere che un gruppo come gli U2 non metta a frutto almeno due o tre anni di fatiche in studio senza guadaganarci un centesimo. Del resto sono sempre stato fra quelle persone che ritengono più che sarosanto che un artista – in qualche modo – tragga profitto e sostentamento da ciò che produce. Ecco, dunque, l’accordo con la Apple che – se pure fa storcere il naso a molti, me compreso, che non ho mai sopportato la mela morsicata e le sue politiche commerciali – a conti fatti fa bene a tutti: ci guadagnano gli U2, che sicuramente intascheranno fior di diritti e possono inondare con la loro musica il principale canale di diffusione del mondo, ci guadagna la casa di Cupertino, e ci guadagna chiunque abbia voglia di tenere l’album nelle playlist del proprio lettore senza rimetterci un centesimo. Ebbene, se devo scegliere fra l’idea di diffusione della band irlandese e quella dei cugini Coldplay, che ad oggi non hanno ancora rilasciato il mediocre ultimo lavoro neanche su Spotify mi viene da affermare a gran voce: lunga vita agli intramontabili “vecchietti” del pop-rock.

Infine c’è un’ultima, incredibile novità, in tutto questo: la modalità di lancio e la capacità di sfruttare a proprio favore una situazione che, fra continui rinvii, stava diventando un po’ pesante e lesiva dell’immagine della band. Se per più di un anno si sono rincorse voci e smentite, dunque, perché non usare questo circolo vizioso per creare una modalità di breakout che, nella storia della musica pop, non ha precedenti? Silenzio assoluto, nessuna notizia ufficiale, niente di cui potersi fidare realmente (e per tenere la bocca cucita a una macchina imponente come quella che si muove intorno ai quattro dublinesi ci sarà voluta non poca fatica) e poi la rivelazione incredibile: volevate una data? Vi diamo direttamente l’album. E’ vostro.

Geniale. Non ho altre parole per definirlo.

Ma veniamo, già che ne stiamo parlando, anche al lato musicale: Songs of innocence non è di certo il capolavoro degli U2 – credo che nessuno se lo aspettasse – non ha niente a che vedere con il quartetto magico e irripetibile fra The unforgettable fire e Achtung baby, ma è un album interessante.

Prima di tutto mi preme dire che andrebbe ascoltato dall’ultima traccia alla prima, visto che gli episodi migliori – fatta salva l’ottima “The miracle (of Joey Ramone)” in apertura – vengono dalla canzone n. 7 in poi, tranne “This is where you can reach me now” che, personalmente, non mi convince. Nel complesso, però, si tratta di un lavoro che alterna momenti pregevoli a qualcosa che sa di già sentito (“Every breaking wave” o “California”) o, ancor peggio, a piccole cadute di stile. In mezzo ci sono perle come la ballata “Song for someone”, o come “Raised by wolves” e “Cedarhood Road”, più sostenute nel ritmo e molto ben arrangiate. Di sicuro Songs of innocence è un album che contiene molti caratteri innovativi rispetto agli ultimi tre – che a tratti apparivano una stanca riedizione di se stessi – e questi suoni nuovi, ne sono convinto, usciranno alla distanza, non sono pensati per catturare al primissimo ascolto. Tanto per dirne una, la bella “Sleep like a baby tonight” potrebbe essere uscita dalla penna di Martin Gore, per quanto appare un pezzo in pieno stile Depeche mode.

Personalmente, dunque, sono portato a fare un lungo plauso ai quattro vecchi volponi, prima di tutto per l’idea innovativa, poi per il coraggio di rischiare – anche dal punto di vista compositivo – pur se non sempre questo porta a risultati eccellenti.

Nel mio lettore mp3, alla fine dell’ultima traccia, segue l’attacco di The Joshua tree, con “Where the streets have no name”. Ho preferito cliccare su Stop, però, perchè il paragone non sarebbe stato corretto.

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