Komorebi
Ottobre porta vento freddo e foglie morte, abbandonate nell’aria alla pace dell’inconsistenza. La nostalgia. Il luogo comune della sindrome post-traumatica da fine estate miete le prime vittime, è per questo che la gente si ammala, colpa della mancanza di serotonina. Piove. L’acqua lava la lapide fredda piantata dentro di me e sotto, nel profondo, le memorie di un ottobre di tanti anni fa.
Una volta ho conosciuto un ragazzo, era un mio amico. Aveva un cane, un volpino color cognac dalla coda strana. Sembrava quella di un gatto persiano, formava un semicerchio e la punta più chiara gli sfiorava il dorso. Era vivace, gli saltava sempre sul petto come se volesse abbracciarlo e lui rideva, lo chiamava per nome e rideva forte, poi mi guardava e capiva. Capiva sempre quando qualcosa non funzionava, riusciva sempre ad oliare gli ingranaggi per farli ripartire. Non aveva paura dei sentimenti. Io invece sì.
Il tempo scivola via, lasciandomi impietosamente indietro.
Ci sono istanti nei quali sento la sua voce, mi chiedo se la ricordo ancora bene e poi mi dico che forse l’ho inventata. Non lo so. Penso alle mancanze, ai vuoti, penso a tutto questo. Allora mi racconto delle storie, quelle di noi due insieme felici e spensierati. La gioia che mi riempie non è un’eco, la provo ancora. Quando le foglie piene di linfa ci lasciavano intravedere la luce del sole.
La copertina: Closer, Joy Division