Quando sono arrivata erano già belli sazi
seduti tutt’intorno ad un tavolo di pelle
stavano fieri e trionfanti in una qualche imperfezione
così ho visto in faccia a loro delinearsi piano piano
l’espressione che ora ha tutto quel che mi serviva.

Estrogeni, estrogeni! – sbava un grasso trippone dalla bocca spalancata
gesticola e sbraita ubriaco di sua stessa sporcizia.
Ha braccia flaccide, gambe gonfie di vene bluastre, pelle rossiccia
– Ancora ne voglio!
Puzza di sebo, di grasso untuoso che piano sale fin sui capelli con lingue appiccicose.
Spugna vorace assorbe e poi ritorna
né dura né soda soltanto compatta.
Senza lasciar traccia smacchia il veleno
e il sale indelebile del pianto di ieri.

C’è accanto una tipa che ride prosperosa
con le gambe accavallate e lo specchio d’osso in una mano
s’accarezza i capelli setosi come ragnatele di miele profumato
si guarda riflessa, si riconosce e sorride scostando dalla fronte qualche ricciolo ribelle.
Non le importa di ciò che dicono fanno chiedono intorno…
Lo sguardo le importa, lo sguardo degli altri
vuol esser guardata, vuol esser amata o forse di più
vuol esser solo desiderata.
Profuma l’aria quando si muove
di pelle, di animale, di lenzuola stropicciate
di lei, di specchi, di ciglia mascarate e guance rosee al punto giusto
o forse no.
Con letale eleganza oscilla lentamente
e dalle mani feline comanda da bere.
Del sangue – la prego – del sangue ossigenato!
Profondamente inspira come fosse un sollievo
si guarda e si piace così silenziosa.

Denti cariati da troppa dolcezza
si mettono in fila per farmi le fusa.
Sorrisi incisivi al gusto diastema
che diventano ghigni se t’avvicini di più.
– Dai, stringi forte che ce la fai a trattenerla come vuoi tu!
A morsi per forza non potrà mai scappare
da questo castello di rabbia che fu –
Si stringono a coorte vicini vicini
– Non c’è posto per te e se mi tocchi io mordo.
Denti forti e aguzzi come torri ammiraglie
che avvistan nemici anche dove non ce n’è.
Hai paura di sbagliare; e allora sai che fai?
Spara a tutti, dai, senza dir la verità.

Di materia grigia qui non c’è traccia
in fondo non serve, qui in fondo a che serve?

Abbozzo mostruoso, clone malato
massa perfetta per quello che serve.
Nella parte sinistra nella parte del cuore
quella debole s’è presa e s’è mangiata un po’ di me.
Uno scrigno d’eleganza ed ovetti primordiali
una mandorla rossastra che ama tacchi e decoltée.
È finita – mi hanno detto – ce la siam mangiata tutta
ingoiata tutta intera per non leggerne le righe
aveva il gusto del ricordo di un amore che non c’è.
Ci hai voluto tu qui dentro, ci hai creato per bisogno
e ora che fai? Di chi sono queste mani, questa lama inconsistente?

Ti lasciamo amica nostra, sappi vivere anche sola
come firma ricamiamo una riga per il Club.
Ti ricorderai di noi, ti ricorderai per sempre
di quei quattro personaggi che t’han fatto compagnia.

Quante bocche sorridenti sotto maschere e cuffiette
dicon “cheese” ad una foto e suvvia, sorridiamo pure noi
che tra un po’ saremo cenere
al profumo di Chanel.

 

Cristina Carlà

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LA BALLATA DI MADREPERLA diCRISTINA CARLA’ è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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