Un cicalio elettronico, ritmico, regolare.

Potrebbe esser parte di uno di quei brani di musica techno, in cui gli strumenti sono solo un lontano ricordo di tempi andati, come le ricette tradizionali in un ristorante di nouvelle-cuisine: fa figo ricordarle, ma poi quei piatti quadrati con una minuscola porzione al centro, spolverata da uno schizzo di qualche salsa che vorrebbe avere funzioni decorative, non somigliano neanche a lontani parenti delle orecchiette con le rape che faceva la nonna.

Si tratta solo dell’avvisatore acustico delle cinture di sicurezza: quell’odioso segnale ritmico che aumenta d’intensità man mano che trascorrono i secondi. Noto che la sua cadenza regolare si adatta perfettamente a questa canzone dei Cure, si adagia sulla batteria seguendone i colpi di rullante, come fosse un pezzo di batteria elettronica.

Mi accascio sul volante, mancando per poco il clacson con la fronte, e rimango per un tempo indefinito così, con gli occhi chiusi e questo beep nelle orecchie.

– Ciao

Mi volto verso il lato, verso questa voce che proviene dal sedile del passeggero. Non l’ho sentito entrare, non ho sentito chiudere la portiera. Del resto conosco fin troppo bene il suo modo di fare: arriva come un fantasma, non avvisa, non manda un messaggio, non chiede il permesso.

Mai.

– Ti ricordi di me?

– ‘Fanculo.

– Ehi, che modo di fare! Ti pare il modo di salutare uno che non vedi da tanto tempo?

Torno a guardare le razze del volante da distanza troppo ravvicinata.

– Cos’è, non sei contento di rivedermi?

– Per niente.

– Forse pensavi di esserti liberato di me?

Non dico niente. So la risposta, ma la sua presenza qui la smentisce categoricamente.

– No, dai, davvero pensavi che fosse così facile? Ma scusa, riflettici un attimo: che hai fatto, tu, per mandarmi via?

– …

– Niente, ecco la risposta. Tu non hai fatto niente. Io ho un patto con te. Non belligeranza. Una tregua. E non è certo merito tuo se l’abbiamo stipulato.

– No, eh?

– No. Te l’ho detto: tu non hai fatto niente. Niente.

Rimane il suono ritmico, regolare. Anche la canzone dei Cure, nel frattempo, è finita e quel beep rimbomba nel vuoto. Alzo la testa. Lo guardo. Lo riconosco.

Mi riconosco.

– Se scegli di tornare te stesso, in tutto e per tutto, non puoi fare a meno di me. Io ne faccio parte.

Chiudo gli occhi per raccogliere le parole in un risposta velenosa, colma di rabbia, per urlargli di andarsene e di lasciarmi in pace. Quando li riapro, con la bocca già aperta per iniziare a parlare, lui non c’è più.

Di nuovo senza avvisare, senza sbattere la portiera.

Così se n’è andato, così tornerà.

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