Dovevi essere mia (anche se ancora non esisto)
Si è spento l’eco della collera, con tutte le sue ragioni.
È lucido il mio sguardo, lontano, in scala.
Non potevo darti altro che la mia natura. Hai scelto e lo accetto. Eppure quel sussulto d’ingiustizia a volte mi prende, sgrana il rosario dei pensieri fino al pugno chiuso. Non perché lui era sposato o aveva dei figli, non per questo. Ma per il modo in cui ti guardava e ti guarda ancora. Fossi tu per la sua viziata avidità il più bel trofeo. Per come si è insinuato nella tua vita. E ti ha dato tutto, tutto ciò che non immaginavi di desiderare: viaggi, ristoranti, agi, attenzioni e comodità. Hai sempre detto di non badare a queste cose, ma non è vero. Se pure inconsciamente ti sei venduta. Hai sempre detto di non aver bisogno di nessuno e quindi star bene da sola, ma anche questo non è vero. Non riesco, tuttora, a non vedere in ogni sua azione un’astuzia disumana. Un “sono come tu mi vuoi” studiato a tavolino. E quel suo modo spocchioso di stare in società, fossero tutti analfabeti e lui un dio in terra. Sgradevole, per i miei canoni estetici ed etici. Mi chiedo: come hai potuto? Ti ho forse dipinto addosso un vestito che non hai mai avuto. Con me era tutto diverso: birre sulla spiaggia, biciclette e dettagli. Ti avevo promesso l’Africa, e sarei stato fedele alle mie parole. Mi sarebbe costata mesi e mesi di lavoro, lenticchie e patate, birra del discount. Non mi sarei piantato nella tua casa, anche se l’avresti voluto. Ho da fare io, cose molto importanti. Il lavoro, lo studio, la mia arte, quella solitudine che mi serve a vivere. Perché ingoio una realtà che imbottirei di molotov, e devo risputarne l’acre sapore su carta, sempre: per non morire. Non sarebbero esistiti, con me, i week end di lusso o metalli preziosi. Non potevo portarti in capo al mondo, al massimo disegnarti una stazione. Avremmo fatto l’amore ogni giorno, fino allo sfinimento e ti avrei letto i passi più belli dei miei libri. Non ti avrei mai portato nelle boutique o nelle spa. Forse sul fiume della mia infanzia a luglio, per vedere le lucciole. Il cinema di lunedì e qualche sudato spettacolo teatrale. Ti avrei fabbricato un’abat jour con la carta riso, i posacenere con le lattine, un orologio col vinile di Mozart: è questa la mia materia, oltre alla carne e al sangue. Avremmo dipinto insieme le nostre Guerniche e i Kandinsky tappezzando il mondo di colori. Ma no, non è mai stato per te il mio piccolo mondo antico. Hai preferito altro. E non sarà per te il caffè della mia vecchia moka. Spero solo tu sia felice adesso. Che il tuo bazar possa farti sorridere più delle mie invenzioni. Ci andrò comunque in Africa. E se dal tuo resort sulle spiagge di Mombasa vedrai un piccolo uomo seduto in riva al mare, salutami e poi offrimi da bere. Allora ti racconterò come avrò conquistato l’Africa, da solo.
Delia Cardinale