La tempesta di sale
Il sale brucia sulle ferite aperte. La carne sfrigola, stenta a rimarginarsi nel bel mezzo della tempesta di cristalli che taglia e fa sanguinare. Bastava il silenzio a farla placare, un silenzio puntualmente interrotto dalle domande, quelle degli sguardi insistenti. Adele serrava le labbra, digrignando i denti per farli smettere ma non lo facevano mai. Era lei allora a restare ammutolita, con i pugni in tasca e le unghie ben piantate nella carne mentre tutte quelle parole non dette le scivolavano addosso per raccogliersi in una pozza sotto i suoi piedi. Fingeva di sorridere a un mondo vuoto e desolato al quale sentiva di non appartenere più.
“Possiamo chiudere la casa e trasferirci in campagna”, disse la madre fissando il pavimento, aveva paura di sostenere il suo sguardo, temeva troppo di perdere quel briciolo di dominio che le permetteva di tenere insieme tutti i pezzi. L’onta la perseguitava al punto da aver scoperto, ben nascosto sotto gli strati di dolore e compassione per la figlia, una flebile luce che iniziava ad ardere. Quella vergogna che ben presto si era trasformata in una fiamma viva e ardente, di lì a poco avrebbe imporporato le sue guance mentre parlava con la gente per bene dai colletti e polsini inamidati. “No. Preferisco restare qui”, le rispose la figlia interrompendo quel flusso caldo che irrorava gli zigomi e pulsava sotto le tempie. Per un soffio di vento alitato nella giusta direzione, aveva scoperto tutto. Intanto dall’altra parte il doppio filo dei pensieri delle due si riavvolgeva e serrava in un’unica fune: l’idea di andare a vivere in quel villaggio desolato le opprimeva. Adele scosse energicamente la testa come per scacciare l’immagine di lei e sua madre socialmente emarginate in quella brughiera poco conosciuta e selvaggia. Che cosa avrebbe detto la gente? Strano, a volte ancora ci pensava più per abitudine che per vero interesse.
Si risolsero a restare in città per qualche tempo, almeno fino a quando non avessero capito come muoversi e che cosa fare. Ma non lo capirono mai. La realtà di questa storia è che non c’è una trama, non si può raccontare della statica e triste vita di una ragazzina dell’alta borghesia, le illusioni perdutesi negli strani meccanismi di un orgoglio che l’aveva portata a credere di essere riuscita in qualcosa.
Adele ormai passava le sue giornate a letto, fingendo di interessarsi a qualcosa. Quello che scoprì in una delle sue apatiche ore di vita fu che lo stare al mondo in quel modo equivaleva al coma dei sensi e dei sentimenti: potevano risvegliarsi così, ad un tratto, o forse non lo avrebbero fatto mai più. Ma si sentiva troppo pesante per alzarsi dal letto, le gambe non potevano muoversi, schiacciate dalle coperte. Sembravano tessute con fili di ghisa e la sua carne lì sotto era ormai fredda. Non si vergognava più, il mondo reale l’aveva dimenticata per sempre. E forse anche lei. Aveva scordato tutti loro, insieme alla vecchia se stessa.
La copertina: Jeopardy, The Sound