Il regno dell’asfodelo
Nel regno dell’asfodelo un’ignavia da pavidi: bilance senza merce inutili come zanzariere al polo nord. Ma chi si bea di quei prati non conosce tormento o delizia. Media mediocritas da equilibristi senza baratro e senza cielo, sull’autostrada dell’agio. Necrosi limbica incosciente, paga di piccoli schemi formulari.Lì a cancellare fossi e altitudini, calpestando i nodi senza neanche tentare di scioglierli. Vivere l’insondabile con terrore e non conoscere il bosco, quindi neanche il lupo e il cacciatore o la memoria del sangue. Senza trovare le risposte distruggere le domande. Disegno uno specchio immenso per la codardia portando ogni abitante di questo limbo alle frangenti più estreme. Scegli adesso. E affoga. Come può una mente uncinarsi così a se stessa ? Senza gravi, senza leggerezza. Ma è sempre più facile vedere che sentire. Parlare invece che ascoltare. Chiedere piuttosto che dare. La paura delle spine allontana il profumo della rosa. Eppure è sempre la solita questione di sensibilità: un paio di forbici stacanoviste alla ricerca di funi sempre più doppie. E chi non vede quelle funi neanche con lo scorsoio alla gola. Muore e non se ne accorge. O forse non ha mai vissuto. Sempre sui cavalcavia e mai nel traffico. Ci si accontenta passivamente di ciò che non richiede sforzo alcuno ed è calcolabile, prevedibile, matematico. Molte micro-rivoluzioni piegate sempre e comunque alla logica dell’ingranaggio: ma è un capriccio senza bandiere. Tornare ai compassi e ai centimentri quadrati, tra fiori lisergici e pascoli meccanici. Un grido e cento bivi.
Delia Cardinale