Lettera di Carl Gustav Jung a James Joyce
Adagio, umilmente, esprimere, tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch’essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione dell’anima, un’immagine di bellezza che siamo giunti a comprendere: questa è l’arte.
Carl Gustav Jung a James Joyce
Hotel Elite, Zurigo 27 settembre1932
Caro Signore,
Il suo “Ulisse” ha presentato al mondo il profondo problema della psicologia e io, più volte, sono stato chiamato a discuterne in qualità di esperto.
L’ “Ulisse” è un vero osso duro. Mi ha costretto a effettuare insoliti ragionamenti seguendo anche logiche stravaganti (dal punto di vista di uno scienziato).
Il suo libro nel complesso mi ha dato parecchi problemi e mi ha fatto rimuginare per circa tre anni sino a quando sono riuscito finalmente a capirlo. Ma devo dirLe che le sono profondamente grato, sia a Lei che alla sua grande opera, perché leggendolo ho imparato molto. Probabilmente non sarò mai completamente sicuro di poter dire se mi piaccia o no, perché richiede un eccessivo uso di nervi e di materia grigia. D’altronde, anche io non so se Lei sarà soddisfatto di ciò che ho scritto sull’Ulisse. Non potevo non raccontare al mondo quanto mi sono annoiato, quanto ho brontolato, come l’ho maledetto e quanto l’ho ammirato.
Le quaranta pagine finali sono come un saggio di psicologia. Immagino che la madre del diavolo sappia cosa ci sia dentro la psicologia di una donna, sicuramente non io.
Dunque, ora Le consiglio questo mio piccolo saggio. Lo legga come il tentativo divertente di un perfetto sconosciuto che si è smarrito nel labirinto del suo Ulisse e ne è uscito per pura fortuna. In ogni caso potrà evincerne come il suo Ulisse abbia ridotto uno psicologo apparentemente equilibrato.
EsprimendoLe la mia più profonda stima, caro signore, prendo commiato.
Cordiali saluti,
C. G. Jung