La febbre nelle dita, scorrendo l’indice sul rigo, la biro lungo i margini. Sai quando fai l’orecchio alla pagina ma non senti più niente? Allora immagini, come un bambino sulla pozzanghera, l’immenso oceano. 7 gradi a nord diventati 7000. La croce di Sant’Andrea e nessun binario, la sbarra sola, bianca e nera, sulla vita:  non parla più  così il cuore al passo. S’incava la ruga sulla fronte, sotto l’invisibile falda del divieto. Morto il sorriso a metà, neanche a destra si distende, nell’Artide una piccola falange nuda. Con l’armatura di ghiaccio intradermica, le braccia conserte contro il muro e un tergo incerto. Interdetta ogni direzione, come al mimo mendicante nel centro città: immoto arlecchino a losanghe disuguali, bianche e nere. E quel passaggio a livello che non si desta, dopo cento sigarette e chissà quante cariche a quanti vecchi orologi. L’illusione acustica del fischio, di tanto in tanto, quella di un ciclope meccanico splendente, nottetempo. Ma il treno non arriva. Restano i grilli e la campagna, nella steppa urbana sempre uguale. Il solito inganno che ti racconti. In quel giorno. A quell’ora. E  calci via la prima pietra dal selciato, poi la seconda, la terza… fino a perdere il conto. Resta il tuo libro, questa febbre estemporanea, la trave e la pagliuzza crocifisse su una stazione che non c’è. I pugni in tasca, ricurvi nel palmi come piccole ali riposte, inchiodate alla stoffa interna, inutili.

E non vuoi tornare a casa. Anche se comincia a piovere.

Delia Cardinale

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