Quarta di copertina

«Ho rimorchiato una tipa» le disse, era per la coca, non si vantava di solito. Ma Rossana lo sapeva e lo capiva, era quello il bello. Con certe persone sai di non essere mai sbagliato.

L’amore ai tempi della droga è un modo per toccarsi senza essere realmente vicini. Amore chimico è la storia di giovani in cerca di risposte e identità, in precario equilibrio sul filo della vita.

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è possibile riprodurre in parte citando la fonte.

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(segue da parte 2)

MATTEO CINQUE ANNI PRIMA

 LUPE

Argentina era argentina, con quel suo modo di arrotondare le consonanti, di smussarle, fino a rendere ogni frase calda e levigata.

Avevo bevuto troppo, mangiato troppo, fumato troppo. Andavo confondendomi piano, con la musica che usciva dal vecchio giradischi, con le voci conosciute e non, con il fumo azzurro che si fermava appena sopra le nostre teste, come l’umidità sopra i tetti di Bologna.

La casa era grande, piena di stanze, angoli, scale. La tavola era piena di tazze, piatti, bottiglie e sigarette, schiacciate in posacenere di creta dipinti a mano.

Ero seduto, sgonfiato su dei gradini, e lei lì, accanto a me, nel suo enorme maglione blu.

Cercavo nei labirinti della mia mente confusa una parola per descriverla. Una sola, che due sarebbero state già troppe, ne avrebbero fatto dissolvere l’essenza, perderla…

Lupe.

Occhi grandi e pelle bianca…

«Come ti senti?» mi chiese lei in italiano. Il suono della sua voce era rotondo come il suo sedere, come una goccia d’acqua che casca, come la musica che esce da un flauto di legno.

«Così!» feci io «un po’ fuori, ho bevuto troppo».

Mi sembrava ora di galleggiare sopra il fumo azzurro. La guardavo da lassù, filtrata, smussata come le sue consonanti e intorno parole, risate, sparse come coriandoli. Tutti gli accenti dei miei amici, uno su l’altro e dentro l’altro: siciliano pugliese veneto e romano e ancora argentino francese e tedesco.

La sera scivolò via, e scivolò via la notte. Scivolarono i miei amici e i giorni con i mesi. Scivolarono strade, volti, bicchieri di vino e musica, esami, spinelli e litri di caffè. E scivolò Lupe, e scivola ancora, mentre il giorno cede il passo al giorno nuovo. Come una strada illuminata, guardata dal finestrino di un’auto in corsa, mentre qualcun altro guida. Scivolo io con la corrente, senza sapere dove andare, se a lei mi avvicino per strade tortuose o se me ne allontano, sempre di più e per sempre.

Lupe.

Ecco perché a volte si è distratti e non si ascolta ciò che gli altri dicono. Perché si guarda il fumo che sale su dalle sigarette, a formare quel piccolo cielo azzurro da cui l’ho guardata e che sempre più spesso, ora, la nasconde. Tanto da perderne i contorni e fare diventare anche lei, me, e tutto il resto solo fumo, fumo azzurro ma sempre fumo, come la nebbia che si posa sui tetti di questa città.

LANA

Eccomi qui, con i miei ginocchi scorticati, i miei stracci inzaccherati, la polvere, tutta questa polvere.

Andare avanti quasi a tentoni col buio che ti circonda e solo una fioca luce in lontananza.

Dov’ è finito il palpito del cuore, correre in spiaggia e fare l’amore di nascosto?

E i ricordi… Tutti questi ricordi.

Come fossero saltati fuori da un immenso calderone dove tutto sempre ribolle, i miei affetti confusi e deliranti.

 MATTEO TRE ANNI PRIMA

IN OLANDA

Siamo lì, in macchina, alle due del pomeriggio, il cielo violazzuro sopra.

Io guido, Simone accanto studia la cartina e fa da navigatore, dietro Lucio dorme o così sembra.

Sinatra canta alla radio, Fly me to te moon, il traffico scorre e tutto è perfetto in questa giornata pigra.

Amsterdam è come una barca enorme e noi siamo a bordo, giunti da abbastanza ma con ancora tanto tempo davanti, per non sentire il peso del ritorno e quella sottile nostalgia. Ora siamo noi e la città, e tutto il resto conta poco.

I soldi li abbiamo, non tanti ma basteranno o ce li faremo bastare, l’auto è comoda e abbiamo un letto, so dove si trova. Comincio a capire come è fatta questa città, piena di vie difficili da pronunciare, di puttane in vetrina, di canali, di fiori e finestre come balconi dove la gente mangia spensierata.

Ora la radio dà No surprises dei Radiohead, questo pezzo mi è sempre piaciuto.

«Dove andiamo?» chiedo a Simone.

«Dove vogliamo.»

È uno che sa cosa dire. Sorrido, Simo mi guarda e sorride anche lui: «Il Crystal sembra un bel posto da quello che dice la guida».

«E il Crystal sia» faccio io.

«A Lucio credo vada bene» dico facendo segno dietro. Lucio è mezzo svenuto da quando ha fumato la prima canna.

«A quello ora va bene tutto, anche un braccio in culo» fa Simo e ridiamo.

Lucio borbotta e noi ancora giù a ridere come ragazzini, il cielo è sempre violazzurro sopra di noi e il sole giallo e freddo.

Entriamo nel coffee shop, celeste e pulito, con specchi e mensole di vetro. Dietro il bancone si vendono bibite analcoliche, fumo di quindici tipi diversi e ganja profumata per una ventina di qualità.

Prendiamo due aranciate e un’acqua tonica con tanto ghiaccio e limone, tre grammi di White, due di Purple, due di Nepalese.

Ci sediamo, ci sono tre tavolini e delle poltroncine di velluto colorate, un paio di vetrinette con esposti cylum e pipe di vetro.

Rolliamo tre canne, per assaggiare tutto ciò che abbiamo appena comprato.

Il fumo si diffonde denso, dolce, speziato e soporifero quello del Nepalese, acre e pungente, quasi allucinogeno quello dell’erba.

Fuori dalla vetrina vedo la città che passa, le mille umanità che riempiono questo posto unico, una madre con due bimbi, un uomo d’affari, uno sfattone piegato dagli acidi.

Il tempo è tanto ed è libero, nessuno, a parte chi c’è qui e ora, sa dove mi trovo. Posso andare dove voglio e fare ciò che mi pare.

Non si può far altro che sorridere.

LANA

Seduta, sulla sabbia bagnata, la punta dei piedi accarezzata dalle onde.

Aria pulita, fresca, la luce del sole.

Eppure questo vuoto dentro.

Questa domanda senza testo.

E da lontano… l’immagine di lui che guarda fuori dalla finestra e chissà cosa pensa.

MATTEO TRE ANNI PRIMA

 MATTINO

Mi sveglio stordito, con una fame tremenda, la luce mi batte impietosa sul viso.

È mattina, non so bene che ora sia ma è il momento di alzarsi.

Scendo dal letto e mi guardo attorno, la stanza è un delirio, vestiti sparsi ovunque, piatti sporchi posati per terra e fogli di giornale; dovrò decidermi alle pulizie. Non ora però.

Esco dalla stanza e mi accorgo che il resto della casa è messo anche peggio. In questa cazzo di casa ci viene un sacco di gente, tutti lasciano la propria merda in giro e nessuno pulisce.

Mi trascino in bagno, cagare e fare una doccia sono le mie priorità.

Mi siedo sulla tazza, vicino la finestra che dà sulla strada, è socchiusa, riesco a vedere le chiome degli alberi verdi che si muovono al vento. C’è il sole, non sembra faccia molto freddo ma oramai è ottobre e l’inverno è alle porte. Presto bisognerà vestirsi a strati, come cipolle, si farà fatica a muoversi con tutta quella roba addosso, le mani si addormenteranno per il gelo e i jeans saranno una trappola di ghiaccio, dopo aver preso l’umido e il vento di questa città.

Sfoglio una rivista porno, il bagno ne è pieno, le trovi tra i giornali di economia e i quotidiani che rimangono in giro per settimane, in casa viviamo in quattro e ognuno ha i suoi gusti in fatto di lettura.

Mi infilo sotto la doccia, l’acqua è calda, abbondante sulla mia testa rasata, nella mia bocca e sulle mie spalle. Mi sento scivolare addosso i peccati del mondo e finire giù nello scarico. Quando chiudo l’acqua sono pronto ad affrontare la città.

Mi affaccio in cucina, Alfredo sta preparando il caffè.

«Giorno Matte» mi dice.

«Giorno» faccio io.

«Vuoi del caffè?»

«Sì ma che ora è?» gli chiedo.

«Saranno le dieci, dieci e mezzo. Che hai fatto ieri sera?»

«Sono stato da Arturo a cena. C’erano due fighe da paura, non mi ci far pensare.»

«Ve le siete fatte?» mi fa lui con un occhio che si fa sottile guardandomi.

«Macché! Erano delle logorroiche del cazzo, sembravano angioletti e pippavano come due aspirapolvere, alla fine dopo che si sono fatte mettere le mani dappertutto hanno detto che non se la sentivano, non al primo appuntamento.»

«Puttane,» mi fa lui scuotendo la testa «che vogliono una relazione di un mese prima di dartela?».

«Che ne so… È pronto il caffè.»

«Tieni» fa lui poco dopo porgendomi una tazza fumante.

«Buono» gli dico.

«Che fai oggi?»

«Vado a fare un giro in qualche agenzia e lasciare qualche curricula. ‘Sti figli di puttana non ti assumono proprio, prima trovavo dei lavori di merda, ora neanche quelli. Tu?»

«Faccio un giro per vedere se trovo del fumo. Tu come sei messo?»

«Male.»

«Immaginavo. Ti serve qualcosa se lo trovo?»

«Sono quasi senza un soldo… Fai venti carte. A che ora ripassi da casa?»

«Tra due, tre ore sono di nuovo qui.»

«Bene,» fa lui «io esco».

Così dicendo prende una cartelletta blu che è posata sulla credenza e si avvia alla porta.

«Aspetta esco con te.»

«Vuoi dei soldi?» mi chiede.

«Te li anticipo io in caso, speriamo di trovare qualcosa piuttosto.»

«Già» mi fa mentre apre la porta.

Poco dopo sono fuori, all’aria, Alfredo è andato per la sua strada in cerca di lavoro e io per la mia.

Mi piace passeggiare per le strade del centro, c’è sempre un casino di gente, impiegati, vagabondi, studenti e soprattutto studentesse. Ora cominciano a coprirsi per il freddo ma a giugno e luglio giravano tutte mezze nude, uno spettacolo che non vi dico, un mio amico una volta è cascato dal motorino per guardare una figa, ancora lo prendiamo in giro.

Tutti hanno le loro vite, i loro problemi, le loro miserie. Quasi le sento le loro esistenze quando mi passano accanto. A ogni angolo c’è gente che chiacchiera, che litiga, una ragazza che piange, un barbone che dorme… Alcuni sono vestiti bene, donne coi tacchi alti e rumorosi sul lastricato dei portici, altri sono straccioni, altri ancora fanno gli straccioni perché così vogliono e si sentono.

Attraverso via Indipendenza, con i negozi sempre pieni, sembra che la miseria non esista, poi abbassi lo sguardo e vedi un mendicante sudicio, con un sudicio cartello scritto male appeso al collo, in ginocchio, e sulla strada passa una Ferrari col suo rombo. Distorsioni del nostro mondo moderno. Volto in via Rizzoli, le Torri di fronte, le bici che scampanellano, le madri coi bimbi piccoli, le vecchie che attraversano spaventate la strada. Le guardo, sono state giovani anche loro, avranno amato, saranno state belle, hanno vissuto, ora sono ai margini. A dire il vero qui non se la passano neanche male, i servizi, il volontariato, i circoli, tutto funziona, ma serve a poco, penso, se fai fatica ad attraversare una strada. Volto in via Zamboni, qui sono quasi tutti universitari e sfattoni, le pareti e le colonne dei portici sono tappezzate di annunci di persone che cercano e offrono casa. La maggior parte cercano, studenti o lavoratori, una stanza singola, in un appartamento da dividere con altre tre, quattro persone, non costa meno di trecento euro al mese. Lo stipendio medio di un operaio sono otto, novecento euro, togli i soldi che ti servono per le bollette, per mangiare e quelli per la macchina se ce l’hai…

Vadano a farsi fottere i sindacati che si sono venduti a un losco piazzista, vadano a farsi fottere i partiti che hanno succhiato il midollo a questo Paese. La gente che ce la fa, ce la fa grazie a se stessa, è stata abbandonata.

Per strada mi si avvicinano un sacco di marocchini, avranno tra i sedici e i vent’anni, tutti mi chiedono se voglio hashish.

«Fumo? Fumo, bello?»

Sono anni che non compro il fumo per strada, so che hanno solo merda, mi limito a dire ‘no grazie’ e continuo a camminare. Una volta era decente, con diecimila lire facevi tre o quattro canne, ora con dieci euro ne fai due e quasi sempre è una fregatura vera e propria.

Vado da Vane, lei di solito ha qualcosa in più per gli amici, non lo fa per guadagnarci ma solo per fumare gratis.

‘Sta storia dello spaccio è un’altra delle menate dei giornali e dei politici, nessuno dice le cose come stanno. Quasi tutti in questo Paese parlano senza nessuna cognizione. Si fa propaganda ma non c’è la volontà di affrontare i problemi.

Vane compra del fumo, ne smazza la metà al doppio del prezzo di acquisto, quando le riesce, e fuma il resto gratis, se non le riesce le rimane sul groppone, questo è quanto. Studia biologia, e ha un lavoro part-time, ha amici, una vita sociale, paga le tasse e l’affitto, a voi sembra una tossica o una spacciatrice? A me non pare proprio.

Suono al campanello, aspetto un paio di minuti poi Vane con la voce roca di chi si è appena svegliato risponde.

«Chi è?»

«Vane sono Matteo.»

«Oh bello! Sali» mi fa lei e apre il portone.

Salgo le scale sino al secondo piano e lei è lì sulla porta, gli occhi ancora stropicciati dal sonno, i suoi dread biondi sparati e il sorriso di sempre. Mi abbraccia e bacia, le voglio bene. La conosco da un paio di anni e siamo stati a letto assieme qualche volta, la storia non è andata avanti perché non è mai cominciata, lei ha la sua vita, io la mia, non starebbe mai con uno come me, ma so che anche lei mi vuole bene.

Entro in casa richiudendomi la porta cigolante alle spalle, lei si trascina in pantofole verso la cucina.

«Faccio il caffè, lo prendi vero?»

«Certo. Ti ho svegliato vero?»

«Sì, ma dovevo alzarmi comunque, alle dodici viene una tipa per vedere la casa.»

«Chi va via?»

«Sally, ha finito l’Erasmus e torna in Belgio, ieri abbiamo fatto una cena di addio. Mi spiace che vada, era tranquilla e poi non sai mai chi ti viene in casa.»

«Già.»

Negli ultimi tre anni ho cambiato due case e vissuto con una dozzina di persone diverse, so di cosa parla.

«Anzi» dice «se conosci qualcuno che cerca una stanza…»

«Nessuno che mi venga in mente ma in caso ti faccio sapere.»

«Ti va di fare una canna?» mi chiede lei mentre sferraglia. «È tutto nel terzo cassetto.»

«Sì,» dico «anzi volevo chiederti come eri messa».

«Quanto ti serve?»

«Una decina di grammi se puoi.»

«A dieci ci arrivo, non di più che sto aspettando anch’io che mi portino l’altro e sono due giorni che il tipo rimanda, c’è una situazione un po’ di merda.»

«Dieci grammi mi vanno benissimo.»

«Fai la canna che poi vado a prenderteli.»

Mi porta il caffè e si siede sul divano accanto a me, le gambe raccolte e i piedi nudi. È alta un metro e settanta, la pelle chiara e gli occhi nocciola, ha un piercing sul lato delle labbra che ogni volta non posso far a meno di guardare.

Lei se ne accorge.

«Che guardi?» dice sorridendo.

«Niente. È che ieri dovevo fare sesso ed è saltato tutto. Così sono ancora in tiro e tu hai quelle labbra…»

«Sei proprio uno stronzo» dice lei divertita. «Ma almeno dici le cose come stanno. Anch’io non è che stia facendo tutte queste scintille ultimamente.»

Si avvicina piano e mi bacia dolce sulle labbra. Io sento il suo odore, mischiato a quello del caffè e del fumo che si diffonde nella stanza, di botto ho un’erezione, stretta nei miei jeans.

«Sei sola in casa?»

«Sì» dice lei stirando la schiena e allungando le braccia.  «Le ragazze sono via per un paio di giorni ma tra poco arriva la tipa per vedere la casa.»

Io mi avvicino e la bacio sul collo.

«Vorrà dire che faremo in fretta.»

«Stronzo» dice lei e intanto si stende sul divano mentre io non posso staccarmi dal sul collo. Lei respira forte, è bollente, eccitante anche col pigiama addosso ma io le sfilo i pantaloni, ha un perizoma nero, minuscolo, le sue gambe sono lunghe e lisce. Poi le infilo la mano tra le cosce, la sento più calda ancora, umida, lei inarca la schiena e io mi tuffo col naso e la bocca a mordere il suo intimo.

Mentre il caffè si raffredda e la canna si spegne io la mangio, e lei fa un sacco di versi, mi piace quando una donna non ha timore di godere e di farsi sentire. Poi a un certo punto dice: «Cosa è che dicevi a proposito delle mie labbra?».

Solleva la mia testa e mi mette a sedere, mi apre i jeans, tira giù i boxer e comincia a leccarlo, dal basso in alto e a me sembra di impazzire, di esplodere tanto lo sento grosso, poi lo ficca in bocca ed è il paradiso.

Un gran bel modo di cominciare la giornata.

Un’ora dopo sono fuori, con i miei dieci grammi e un sorriso stampato sul volto.

Tornerò a casa a mangiare, ho bevuto due caffè, fumato una canna e scopato ma sono ancora digiuno. Il sole è alto e la gente comincia ad affollare i bar e ogni buco aperto per il pranzo, le voci che sento mi sembrano musica, così il rumore delle stoviglie e le risate dei passanti, in questa giornata che semplice, mi si srotola davanti.

Continua…

Foto di copertina Tamara Lichtensteinlink

( parte 1) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-1/

(parte 2) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-parte-2/

(parte 4) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-4-2/

(parte 5)  https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-5-e-link-a-precedenti/

(parte 6) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/httpwww-colorivivacimagazine-com201601amore-chimico-k-a-precedenti/

(parte 7) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-7-e-link-a-precedenti/

(parte 8) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-8-e-link-a-precedenti/

(parte 9) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/02/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-9-e-link-a-precedenti/

(parte 10) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/02/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-10-e-link-a-precedenti/

(parte 11) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/02/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-11-e-link-a-precedenti/

(parte 12) https://www.colorivivacimagazine.com/?s=amore+chimico

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