Il gioco dei libri
Quel vuoto lirico e l’abisso sepolto: un treno notturno al Circolo Polare Artico. Ogni riflessione è circostanziale. E leggiamo le persone come libri: uno scaffale immenso, dalla semplicità di La Fontaine ai Joyce e Faulkner. In ordine alfabetico, divise per genere, per la maggior parte definibili.
Poi, ogni gioco ha le sue regole, dagli scacchi al nascondino: c’è da pensare tre mosse avanti, annullarsi in una segretissima alcova, c’è da tirare via il bastoncino giusto, dissimulare, correre veloce, attendere, attaccare, rispondere alle domande, pagare pegno, approfittare dei bonus e c’è, anche, una buona dose di fortuna sfacciata.
E venitemi a dire che la vita non è un gioco e le persone non sono costruzioni sintattiche.
Arrovellarsi sulla solita questione di forma e contenuto, significante e significato. Irrisolvibile, in fondo, nel supremo enigma delle sintesi. Nessuno avrebbe comprato libri altrimenti, nessuno avrebbe giocato.
Raccontate qualcosa di nuovo alle orecchie del cinismo e non ci saranno bocche aperte né occhi sgranati: assuefazione al noto o, nel migliore dei casi, a rivoluzioni controllate. Le parole fanno i libri e le azioni i giochi, per quasi tutti.
Volete essere qualcuno? Non scrivete libri, leggeteli settorialmente e inventate un gioco: il sistema bancario, la religione, il liberoscambismo, la dittatura, le mode, Internet, il commercio equo e solidale… Ma tutto questo già esiste. Qualcosa di nuovo che risponda ad una generica domanda senza destare sospetti di pazzia.
Per chi poi non vuole essere nessuno, c’è sempre da scrivere libri.
Pedine di carta nel mondo, che sia almeno di ottima qualità la filigrana e libere le parole. Senza utile, senza aspettativa alcuna da libri o giochi, in sintesi imperfette ma lucidissime, perché le finzioni non sono verità, ma se ben declinate mezzi per catturarne spiragli.
Ci fosse un esercito di libri da combattimento si proibirebbe, forse, ogni gioco a fini estrinseci.
Delia Cardinale