In morte di Anna K.
Eppure lo sapevo benissimo come sarebbe andata a finire: con un romanzo così celebre, per evitare il rischio spoiler, dovresti essere profondamente ignorante e, in tal caso, dubito che ti tufferesti spontaneamente nella lettura di un tomo da più di 1000 pagine che passa per essere l’incubo di milioni di studenti dei licei di tutto il mondo.
Lo sapevo benissimo che Anna sarebbe morta, e sapevo persino in che modo.
Nonostante questo ho lottato contro i suoi tormenti interiori, sperando di poterle dare dei consigli, desiderando con tutte le forze – con fasci di pensieri proiettati nell’iperspazio, verso la Russia del XIX secolo – di farle capire che stava sbagliando da qualche parte, che l’amore di Aleksej non era perduto, aveva linfa da regalarle; che non poteva dilapidare così il patrimonio d’indipendenza e libertà che aveva accumulato moneta dopo moneta, umiliazione dopo umiliazione. Mi era sembrato persino impossibile solo un centinaio di pagine prima, quando lei e il conte Vronskij sembravano aver trovato un equilibrio instabile ma perfetto, e se pensate che non sia realizzabile vuol dire che non avete studiato abbastanza bene la fisica.
Se invece siete stati studenti diligenti anche nella statica dei corpi sapete quanto sia stupidamente romantico l’errore che io stesso – ben allenato alle leggi della meccanica – ho commesso: sperare che questo equilibrio, per quanto impeccabile, potesse resistere al più impercettibile degli attacchi.
Li ho odiati, quei pensieri senz’altro possibile sbocco, perché li conosco molto bene: hanno fatto parte troppe volte dei miei tormenti interiori.
E allora quando l’ha fatto davvero, quando si è lanciata sotto quel treno, mi sono sentito un po’ come ci sentiamo quando muore uno dei nostri cantanti preferiti: abbandonato, sconfitto. Solo due giorni prima era morto David Bowie, e sono sicuro che le tante persone che l’hanno amato abbiano avvertito quello stesso momentaneo senso di vuoto che mi ha colto durante l’impatto del corpo della protagonista col vagone: in fondo dopo aver trascorso due mesi in compagnia dei personaggi di un romanzo hai sviluppato con loro una simbiosi tale da farteli sentire amici, compagni di strada: ti sembra quasi di poter interagire con loro, chiedergli consigli o elargirgliene, a seconda del momento. E’ la magia della letteratura.
E naturalmente se Anna non l’avesse fatto non sarebbe stata un’eroina così affascinante.
Non l’avremmo letta in milioni. Non avrebbe avuto così tanti amici a piangere al suo funerale.
Manlio Ranieri
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