A Gabriele piace Tolstoj
Mentre tutti venivano mossi dal pensiero della “legge proporzionale” Gabriele aveva un gran vuoto in testa e questo accadeva ogni giorno. Gabriele si orientava nella sua casa in maniera molto distratta spesso si ritrovava uno spigolo nella coscia sinistra, camminava con rigonfi piedi aperti, le spalle leggermente piegate in avanti quasi avesse un macigno sulla schiena.Gabriele aveva 8 anni, era nella sezione A, quarta elementare; non andava molto bene a scuola, il suo andamento scolastico era di un medio ignavo, Gabriele non era ne carne ne pesce. Gabriele andava a scuola ma non era cosciente di cosa era effettivamente una scuola, nei suoi occhi solo verde e bianco che si susseguivano come in una brioscina il cioccolato di copertura e la crema al suo interno, la sua testa era un po’ come lo la terra di aristotele rotante al centro di un mondo estraneo ad essa. Quel mondo estraneo fatto di discorsi estranei e troppo grandi per lui, a volte un po’ rozzi e inesatti, era un semplice contenitore per la sua natura irrequieta e concentrata solo su se medesima. Gabriele rideva, rideva sempre, quando c’era qualcosa che non andava la sua incredibile fantasia incastrava i pezzi in un nuovo modo e dopo qualche attimo, durante il quale i suoi occhi stringevano le ciglia per un punto di disapprovazione, tornava arzillo come un cannone pronto lanciare nel cielo nuovi pezzi. La mattina si svegliava, il suo unico limite era il corpo, la sua stanza, le pareti gli alberi che circondavano una piazza spesso frequentata erano come una doccia calda per il suo spirito, è vero tendeva ad immagazzinare e poco a dare, quando diceva qualcosa il suo dire era preceduto da uno strano sfregamento, le sue idee erano come pietre che incontrandosi in maniera dura e accidentale davano fuochi improvvisi e duraturi nei cuori gelidi degli ascoltatori. Un cuore gelido e spesso poco capace di saltare da una cima all’altra di una montagna, per natura era portato a dire no, a non ascoltare a non rinoscere il valore dei suoi fuochi, fatui. Per gabriele quasi non esisteva la materia, quando qualcuno dei suoi compagni si addentrava in argomenti di natura sessuale, rendendo se stesso e gli altri simili ad oranghi, Gabriele irritato quasi non vomitava! Questo accadeva forse perchè le nature poetiche non vedono che melma sotto i loro piedi, e desiderano volare al di sopra degli “insidiosi fetori”. Gabriele non si poneva domande del tipo “cosa voglio fare da grande??” “devo organizzarmi per domani?” “ma perchè il mondo è così brutto?” a gabriele interessava solo una cosa, soltanto una cosa dico una davvero, leggere. Gabriele nascosto dietro capelli unti , sempre da pettinare al mattino, ci pensava sua sorella a farlo, appariva del tutto disinteressato alle relazioni, non era uno che “ti ho pensato tutta la mattinata”. I suoi occhi erano un tutt uno con il mondo esterno, ripeto il suo unico limite era il corpo. I suoi gesti, una cascata incessante. La sua ambizione un lago fermo irragiungibile. La lettura, si la lettura era il suo forte, l’unica cosa di cui sembrava interessato, ma non leggeeva tutto come dicono le maestrine superficiali, a lui piaceva solo un autore, un autore russo, il grande Tolstoj! Come conobbe Tolstoj? Assolutamente per necessità, no per caso giacchè si è poeti per destino. Una volta Gabriele camminava respirando con il cielo, e vide un bel mattoncino rosso pronto a ripetere ancora una volta la stessa cosa, si fermò lo prese sfiorando con l’indice destro le pagine di lato dando vita a quella sensazione che ci fa credere di vedere lame affilate in un semplice volume, uno dei tanti, tutti uguali. Perchè un libro deve ricordare il suo padrone, e dopo un po’ i libri se lo dimenticano. Aprì la copertina, poche letterine in nero centravano la prima pagina di un grigio carta riciclata, alla prima pagina seguiva in seconda linea una pagina con altre note non abbastanza importanti, infine una pagina totalmente grigia che portava il mantello della seconda. Quella mattina c’era un bel sole, un’aria fresca, la natura offriva ai passanti una tavolozza piena di colori, ognuno poteva scegliere secondo i propri gusti come rappresentare il proprio sogno. Il cuore di Gabriele procedeva ad un ritmo regolare, il vento sfiorava dolcemente la sua pelle bianca , ecco i suoi occhi puntanti sulla prima frase “bla bla carciofi dolomiti e super vinelli rosati” così iniziava il suo Tolstoj. Da quel momento in poi Gabriele aveva detto si ai suoi voleri, aveva fatto in modo che il postino entrasse in casa, ora c’era solo lui e quel mattoncino così profumato;due, quattro, cinque , sei, sette righe una dopo l’altra si susseguivano veloci come treni in corsa dentro il suo spirito assorto, ecco il mondo di Gabriele, ecco tutto ciò che il resto del mondo intendeva per “famiglia, rispetto, ordine, organizzazione, pulizia, senso della vita,amicizia, relazioni, et cetera”. Tutte quelle brutture che gli altri mettevano sul podio, “primo posto ! Medaglia d’oro!” gridavano alle loro cose serie e inutili , tutte quelle cose erano per Gabriele inutili, brutte grigie ,roba da macello. Quando Gabriele leggeva il suo Tolstoj, allora entrava in un mondo fatato, in un mondo bellissimo fatto di cose stupende, di profumi di colori di incredibili slanci verso il cielo, principi ,madonne selciati e alberi verde foglia francese (della Loira), una mente banale non sarebbe riuscita a stargli dietro. Un piacere indescrivibile,quello che Gabriele provava stando seduto in poltrona oppure di fianco sul letto, i ragazzi vestiti finto americano anni trenta davanti ai bar non avevano mai assaporato questo frutto dolce, e mai lo faranno perchè ripeto poeti lo si è per destino, e gente vestita come un manichino non può e non deve come diceva Baudelaire “incontrare versi”. Gabriele parlava poco, non era importante per lui parlare tanto aveva un mondo intero in quel volumetto! Se dovessimo paragonare gabriele ad una cosa, io lo paragonerei ad un cartello rettangolare, di un solo colore, diciamo rosso; un cartello di forma rettagolare netto , e di un solo colore, tutt “intorno il resto del mondo. I genitori di Gabriele non erano per niente contenti di loro figlio , spesso lo riprendevano perchè era terribilmente distratto, con la testa perennemente tra le nuvole; gli dicevano “cosa fai? Sempre lì a poltrire!” “sei un irresponsabile!” “ti rendi conto! Potevi rimanerci secco”! “incosciente!”. Una delle domande più frequenti dei genitori era proprio questa “ma a cosa serve?” “a cosa serve???'” “a cosa serve????” all’infinito questa domanda idiota, figlia primogenita di quella mentalità gretta e assassina del pensiero che ci porta a vedere sempre un fine diretto, visibile, esponibile “et voilà!”. Nella vita ogni cosa la si fa solo per dimostrarla di averla fatta, per dire si l’ho fatto anche io, fare per poi esporre non ha senso fare qualcosa se non per dire, per dimostrare di averla fatta, cosi anche la domanda “a cosa serve???” incollata su un viso marcio, invecchiato, ebete, ubbidisce questi argomenti. Ma Gabriele non ci pensava a tutte queste cose, egli non aveva mai sperimentato il modo di pensare degli impiegati o dei vecchietti con barba fatta e mani sul centrino ( a capotavola), e son dell’opinione che mai avrebbe posto in futuro alla sua coscienza un quesito del genere. Quella voglia di buttarsi sempre nella stessa piscina e nuotare al buio, senza esser visto da nessuno lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, ad esempio : “Lei, lei vestito come uno straccione! Cosa fa, il treno sta per partire!!!” e Gabriele “ah si mi scusi! (andando sul treno con il capo dolorante). Per Gabriele Tolstoj serviva solo a dire si ai suoi voleri.
Un racconto breve di Giovanni Sacchitelli (Foggia, 1988)