Henry Miller: In qualche modo inspiegabile, mi sembra che lo spirito che anima Picasso non può mai essere pienamente valutato con il suo lavoro, per quanto prodigioso possa essere. Non nego la grandezza della sua opera, ma resta il fatto che l’uomo è e rimarrà di gran lunga più grande di qualsiasi cosa o di tutto ciò che egli compie con le sue mani. Lui è molto più del pittore, dello scultore, o di qualunque cosa possa scegliere di essere dandogli vita. Lui è fuori misura, un fenomeno umano. In una di queste conversazioni Picasso esternò la sua ammirazione per i disegni di Brassaï insistendo perché facesse una mostra, e cominciò a sondare il fotografo sul perché avesse abbandonato la matita. Nonostante il successo di Brassaï come fotografo, Picasso vedeva l’abbandono di qualsiasi tipo di talento come codardia creativa, compromesso, un modo di svendersi. Allora diede al fotografo consigli validi anche per tutti gli artisti che lottano per imporsi, con perseveranza: ‘Quando hai qualcosa da esprimere, ogni sottomissione diventa insostenibile nel lungo periodo. Bisogna avere il coraggio della propria vocazione e di fare una vita della propria vocazione. La seconda carriera è un’illusione! Sono stato spesso troppo distrutto, e ho sempre resistito alla tentazione di vivere in qualsiasi altro modo diverso dalla mia pittura. All’inizio non vendevo a un prezzo elevato, ma vendevo. Questo è ciò che conta”.

Brassaï è un fotografo molto conosciuto e apprezzato tanto che Henry Miller lo chiama “l’occhio di Parigi“. André Breton lo incarica di fotografare le sculture di Picasso, al tempo sconosciute, per il primo numero della rivista Minotaure, di cui è direttore. Inizia così un rapporto che si protrarrà per trent’anni in cui Brassaï penetra, da buon psicologo della fotografia, l’intensa poetica di Picasso. Brassaï è amico di Béla Bartók, Kandinskij, Moholy-Nagy e Kokoschka.  Arrivato a Parigi nel 1924, inizia a coltivare la fotografia, sullo sfondo di Montparnasse, accanto a Michaux, Atget e Kertesz. Picasso non è l’unico artista immortalato dal fotografo. Lavorando per “Minotaure“, egli ritrae Breton, Dalì, Eluard, Man Ray e Giacometti. Quando si incontrano, Picasso ha 50 anni, la sua arte sta riscuotendo interesse e sta per avere riconoscimenti mondiali. Come racconta Henry Miller nella prefazione, Picasso ha trovato la sua piena maturità accettando la pittura come sua unica possibile scelta di vita. Nelle famose conversazioni fra i due, l’artista si apre toccando argomenti che riguardano lui come uomo e come artista ma anche l’arte in generale e, per forza di cose, il clima storico e artistico dell’epoca. Dopo questi incontri Brassaï torna a casa e annota con cura questi dialoghi, poi appallottola i fogli e li mette dentro un grande vaso. Non lo fa pensando a una futura pubblicazione, quanto per il valore, anche futuro, delle considerazioni sulla vita e sull’arte dell’artista spagnolo. In questi appunti, infatti, emergono sia aneddoti di vita, sia annosi argomenti quali il processo creativo, l’ego, il ruolo dell’infatuazione romantica dell’arte. Brassaï che, oltre a dilettarsi nella fotografia e nel disegno, è anche uno scrittore di talento, nel 1964, in occasione dell’ottantatreesimo compleanno di Picasso, decide di pubblicare questi dialoghi e nasce “Conversations With Picasso“. L’editore è Gallimard, Allemandi lo traduce solo nel 1996.  In Conversazioni con Picasso di Brassaï, il pittore risponde così all’amico fotografo che gli domanda se le idee gli vengano per caso o intenzionalmente:

Non ne ho la minima idea. Le idee sono semplicemente dei punti di partenza. Raramente posso buttarle giù così come mi vengono in mente. Non appena inizio a lavorare, dalla mia penna ne sgorgano altre. Per sapere cosa stai per disegnare, devi iniziare a disegnare. Quando mi ritrovo di fronte a un foglio bianco, è questo il mio pensiero costante.

Picasso è chiaro: non si può stare con le mani in mano in attesa di sapere cosa si creerà, bisogna iniziare a fare, a lavorare, perché il processo creativo abbia inizio. Dalle conversazioni con Brassaï emerge anche l’importanza fondamentale del coraggio di intraprendere una strada difficile come quella artistica e di quanto poco importi, all’inizio, il compenso monetario. L’unica cosa che davvero ha importanza è raggiungere il maggior numero di persone con il proprio lavoro:

Quando si ha qualcosa da dire, da esprimere, qualsiasi sottomissione diventa insopportabile nel lungo periodo. Bisogna avere il coraggio della propria vocazione e il coraggio di riuscire a vivere della propria vocazione. Il “secondo lavoro” è un’illusione! Anch’io ero spesso al verde e ho sempre resistito alla tentazione di guadagnarmi da vivere in un’altra maniera che non dalla mia pittura. All’inizio non vendevo ad un prezzo elevato, ma vendevo. I miei disegni, le mie tele, andavano. È questo ciò che conta.

[…] Non date ai vostri lavori un prezzo troppo alto. Quello che conta è venderne un gran numero. I vostri disegni devono andare là fuori nel mondo.

Anche il successo è un fattore rilevante, Picasso ha le idee ben chiare a riguardo e ci allerta su certi falsi meccanismi propri dell’idea di arte e artista:

Beh, il successo è una cosa importante! Si dice spesso che un artista dovrebbe lavorare per se stesso, per “l’amore per l’arte”, che dovrebbe disprezzare il successo. Falso! Un artista ha bisogno del successo. E non solo per guadagnarsi da vivere ma, soprattutto, per produrre la propria raccolta di lavoro. Perfino un pittore ricco deve avere successo. Poche persone capiscono qualcosa dell’arte e non tutti sono sensibili alla pittura. La maggior parte giudica il mondo dell’arte dal successo. Perché, allora, lasciare il successo ai pittori “best-sellers”? Ogni generazione ha i propri. Ma dove sta scritto che il successo debba sempre andare a coloro che soddisfano il gusto del pubblico? Per me stesso, ho voluto provare che si può avere successo nonostante tutti gli altri, senza compromessi. Sai una cosa? È stato il successo che ho avuto quand’ero giovane a diventare il mio riparo. Il periodo blu, il periodo rosa, erano schermi che mi proteggevano.

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