I prodromi al sismografo zarista, aritmia cardiaca sul polso liquido del Neva: densi rivoli cadmio e granata, dopo la mattanza.  Langue Pietrogrado e stride morente l’aquila imperiale. Poi l’ottobre rosso: falce e martello dalle ossa scoperte  del palazzo d’inverno.

E tu, sedizioso  funambolo sull’ingranaggio del dire, soffi nel flauto di vertebre,  per la Rivoluzione! Per l’arte sociale e le officine.  Sputi collera e manifesti, dagli arti smembrati del linguaggio: inchiostro sinoviale, catacresi abusive e simboli estemporanei. Per la Rivoluzione! Per il tuo amore immenso.

Il pugno bolscevico col guanto futurista, e Lenin, la guerra civile, Marx, Engles e la coscienza di classe.

Oh, Lilja, che tu sia maledetta!

Hai mai visto i morti uccisi? Le piazze di Leningrado come bare criogeniche?

Che tu sia maledetta, amore mio, con la tua schiena d’avorio e le notti randagie, nuda e selvaggia Gileia di porpora,schiusa al vomere dell’avido mio cuore che non riposa,su di te prono, brama di grama terra imbronciata.

Dalla nuca al calcagno, instancabili dita e l’odore spinto bagnato del deliquio.

Crocifisso al tuo Golgota, per la pazzia d’inchiostro, e i finimenti allentati della rabbia, e le costole alate da profeta blasfemo. I vizi al petrolio, nero bitume che di te s’inebria  e ti vesto di fumo,  nella carezza più sporca e feroce e dolcissima. Inseguo le parole balbettando sotto le ciglia aggrottate di una misera notte.

Lilja, regina del mio castello di carta, che tu sia maledetta!

E scegli la via più sgombra, sui dettami dell’agio. E per me, silenzioso felino delle tue stanze, un’alcova lontana, come Chagall e i suoi colori imbarazzanti.

Non t’avrei sposata come a Canne, nel libro delle istruzioni universali, che brucerei come i tedeschi nel napalm.

Che tu sia maledetta, per ogni dardo d’indifferenza e per tutte le volte che ti sono venuto dentro,

come una locomotiva sbuffante finalmente alla meta.

E avrei scelto per te le parole più vicine al cielo, un vestito intradermico di sanguigno candore

e poesia.

Guarda pure altrove, mentre fallisce la mia Rivoluzione, nell’oscena misericordia della memoria.

E morirò invocando il nome tuo, inutile gigante gonfio d’anima perduta.

Le storie guardando il soffitto di uno squallido hotel moscovita, aperte come le tue cosce bianche,

rosari da sgranare sul fondo dell’enigma più caustico:

quest’amore che ti porto

come un capretto all’altare e i tagli sui palmi.

Che tu sia maledetta, nel plenilunio di quegli abbracci dimenticati, e muoiono gli operai nelle fabbriche di fumi tossici e solitudine.

Il tuo cuore cattivo, angusto per la mia vana immensità, un pizzico di sale sul monte di neve.

Che tu sia maledetta, Lilja,

nella tua gabbia d’oro placcato, sul mio sepolcro senza fiori che t’incolpa.

Ti amo

E per questo un colpo di pistola.

Sulle crude pareti di carne rappresa, uno spirito scuoiato e pulsante, irriso alla sua stessa natura,

di vodka scadente ch’evapora fino alle tue narici , serrate dal vino buono e profumi francesi.

In Russia non crescono fiori, e questa mia piccola serra di piante spinose non  è che un’importazione

D’America e d’Oriente.

Maledetta, fiocca la neve sulla girandola sinaptica del mio genio  logaritmico, In base alfabetica.

Di soppiatto, col bavero alzato, ai margini della tua vita perfetta,che ti strapperà più lacrime della mia luna.

Sterile come Mosca per la vite.

Non hai mai speso una sola parola per la mia guerra,

Liljia, dov’eri quando l’indignazione mi strappava lacrime e spergiuri?

Sapevi dell’Internazionale, sapevi dell’Unione, sapevi dell’estro iperbolico e delle parole, che hai pur amato

un tempo.

Che tu sia maledetta!  Per l’inedia dei miei giorni mendicanti e tutti i graffi di una peste autoimmune.

La roulette russa ridente e sola sulla tempia del disincanto, quella sinistra, che conosci come la tasca del tuo corsetto azzurro.

La morte di un poeta  è l’inezia sui libri di storia,

una minima riga in calce, come il terzo pianeta di una qualche galassia.

T i amo, Lilja,

come il sangue proletario la lotta armata, il cielo gli aeroplani.

Muoio per te, per Stalin, per tutta questa putredine e il privilegio sistemico. Non punterò più la penna contro la California, non canterò più gli sbadigli del tuo cuore pigro.

Con gli occhi stretti demoniaci e le unghia nella schiena. Lanterne rosse a festa per il mio funerale. Chiusi i circuiti per  un’eterna ombrosa lacca di garanza sull’egoismo capitalista della tua coscienza a gettoni.

Il mio amore titanico e viscerale, ebbro e folle di macabro vitalismo,

muore

tra le maglie della camicia di forza

che m’hai cucito addosso.

Delia Cardinale

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