L’abbiamo scoperto solo anni dopo che Frusciante, in realtà, si chiama John
Oggi ho visto circolare più di una volta la notizia che il film “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” compie vent’anni proprio in questi giorni.
Sì, insomma: noi che siamo stati adolescenti – o ragazzi – insieme a quella storia, oggi siamo attempati. Ma forse sarebbe più adeguato definirci dei giovani vecchi.
Di questi tempi vanno di moda le celebrazioni. La prima a cui ho partecipato con trasporto, quasi dieci anni fa, è stata il ventennale di The Joshua tree – l’album che mi ha introdotto nel magico mondo del rock, dove le strade non hanno nome, e da allora niente più è stato lo stesso – poi ce ne sono state a centinaia, con freschezza sempre decrescente.
Ma oggi, questa notizia, mi ha dato un piccolo brivido: devo ammetterlo.
Partiamo dal fatto che per me la storia, quella che ha emozionato il me stesso di due decenni fa, è quella del libro, non quella del film, anche se qualcuno ancora ricorda della assurda cotta post-adolescenziale che presi per Violante Placido dopo aver visto la pellicola, e che mi spingeva a vedere ogni sera una trasmissione di cartoni animati sulla RAI: forse l’unica cosa che allora le lasciassero fare pur di tenerla davanti a una telecamera.
E devo anche ammettere che se provassi a rileggerla oggi, con tutta l’esperienza di lettura e di scrittura che è passata sotto i miei ponti, probabilmente la troverei banale e sempliciotta. Ed è per questo che non lo faccio: siamo cresciuti tutti, lo ha fatto anche il suo autore Enrico Brizzi, ma allora eravamo così.
E chissà che non avessimo ragione, almeno in parte.
Ma quel romanzo è stato una parentesi di una bellezza indimenticabile in un periodo che ricordo come terribile, sebbene non mi avesse riservato ancora nessuna delle pessime sorprese che la vita mi ha tenuto in caldo per gli anni a venire.
E’ incredibile pensare all’influsso che quel libro ha avuto su di me, alla determinazione che mi ha regalato per vie traverse, al desiderio di ribellione che ha risvegliato e che non si è mai più sopito del tutto; a quanto ho vagheggiato, infine, la tenera inconcludenza di una storia come quella.
Diversi anni più tardi, nel libro “In piedi sui pedali”, ho letto dalla penna dello stesso autore il retroscena di quell’avventura sentimentale e anche quello mi ha, a suo modo, intenerito.
Quanto siamo più maturi e consapevoli, adesso? Quanto più saggi ed equilibrati?
Tanto.
Di certo la maturità è un pregio.
Eppure proprio oggi, leggendo di questa ricorrenza, ho ripensato alla bellezza cristallina di quell’ingenuità ribelle e scanzonata; e mi sono commosso.
Avevo registrato una cassetta, a quei tempi, una compilation – sì, era il periodo in cui ero capace di creare compilation memorabili su nastro, arte che temo sia andata persa per sempre – che avevo ribattezzato Sunny side of the street e che conteneva molte delle le canzoni citate nel romanzo: i Pogues, gli Smiths, i Clash. Per anni quella sequenza di canzoni ha avuto il potere di rimettermi di buon umore dopo una giornata storta, rievocando le sensazioni del giorno in cui avevo letto il romanzo.
In realtà non ricordo bene della prima volta che l’ho letto, ma riesco a ricostruire in mente la seconda come se fosse stata ieri: ero stato bocciato all’esame di chimica, all’università. Avevo riposto in quel test molte speranze di rivalsa da un periodo negativo, in cui tutto sembrava andare storto. Avevo litigato con i miei, che attribuivano la disfatta al mio scarso impegno e concentrazione, mi ero chiuso in camera a doppia mandata, avevo ascoltato Alive dei Pearl jam in cuffia, a un volume inaccettabile – allora i dispositivi di riproduzione non erano soliti avvisarti con un messaggio monitore che “ascoltare musica a un volume troppo elevato potrebbe causare danni all’udito”, anche perché non dialogavano con noi se non attraverso la musica che trasmettevano – arrivando persino ad alzarlo uletriormente durante l’assolo finale. Alla fine mi era rimasta attaccata addosso questa voglia di sentirmi vivo, frizzante, di sognare. Avevo deciso di sfogarla rileggendo quel romanzo. Lo feci nell’arco di un’intera giornata, senza mai interrompermi, fino alla parola fine. A quel punto ero una persona nuova.
Non lo dimenticherò mai.
Può darsi che, più o meno inconsciamente, da quel momento in poi io abbia teso a ricreare nei lettori, con la mia scrittura, una sensazione che fosse altrettanto forte .
Non so se ci sia mai riuscito, ma il solo averla provata sulla mia pelle è stata una bella vittoria.
Manlio Ranieri
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