E poi ci sono tutte le parole che mi mancano per chiudere i cerchi. Per questo nella mia teoria delle stringe si parla d’infinitesimi filamenti senza continuità, entro microscopici quark amorfi e policromi. L’universo subatomico è come tutto ciò che sfugge alla fabbrica del dire: un’ infinita oasi di caos. È  così labile il confine tra fisica e metafisica. Dal calcolo al dettaglio all’immenso ignoto.   E ci troviamo traditi in qualche modo, nell’entusiasmo, nell’intelligenza. Perché ci sono strutture vestite d’irreversibili . E parliamo di legami covalenti bipolari nell’indimostrabilità della fede. Fanatismo ostinato d’illusioni barbare, da quando abbiamo spogliato la prima Margherita. E sembrano davvero sbocciare i fiori gialli, lungo i bei viali. Invece non è vero, se fossero stati reali tutto sarebbe cambiato. E io avrei conosciuto Strauss, il Diavolo e Ponzio Pilato, avrei scritto il libro più bello del secolo e la donna che amavo avrebbe creduto in me. Anche in manicomio, anche in pigiama. Quanto li ho cercati quei fiori gialli,dalle 4 alle 4 e 48, ogni notte.

Invecchio, in crescente nevrastenia,ma con una gioia sfrenata. Perché è sempre un maledetto dono no? Vivere.

Le persone umili mostrano sempre il lato, non l’arroganza del petto, nè il tergo indifferente. Il lato. Si è più sottili, più disposti ed equi verso gli altri. Allo stesso modo mostrano i palmi verso l’altro, come quando ci si avvicina ad un cane randagio. Per dare e ricevere in ugual misura. Immaginando l’altro come un cavallo non domato poi, bisogna stargli accanto, né avanti sfidandolo, né indietro nella sua polvere. Che possa vederci sempre chiaramente e non si senta minacciato. Pochi piccoli accorgimenti a cui l’esperienza e non il cuore fa caso. Non ci dovrebbe essere mai bisogno di stringere gli occhi per guardare. Eppure la penna si nutre di fumo, avvelenandosi. Per questo non si scrivono più inni e l’epica è morta. L’inesplicabile ombra metropolitana, i finimenti del patto sociale e l’assuefazione all’agio ci hanno fatti palude tossica. È l’era dell’ambiguità, dei legami superficiali, del complottismo rettiliano, della pazzia, d’intolleranze e allergie, del virtuale , della conoscenza frammentaria. E in tutto questo ognuno cerca qualcosa che non riesce a trovare: i fiori gialli. Devono esistere, devo meritarli, li saprò riconoscere. Ma sono forse come le belle di notte nel più buio avamposto: bisogna sentirli, non vederli. Ma come? Li avrà pure trovati qualcuno, ma non ha disegnato una mappa o se l’ha fatto era esatta per lui solo. E tutti coloro che hanno una specie di luce dentro, nascondono una bussola smagnetizzata in qualche tasca segreta. Perché sanno che non si arriva mai e la Stella Polare non è sempre a nord. I fiori gialli, mai visti davvero. Li porterà qualcuno avvolti d’organza? Fioriscono una volta ogni quarant’anni come l’agave? A quali latitudini? In quale terra? Su un altro pianeta? O forse sono solo un’altra assurda metafora del desiderio. Magari ogni persona incontrata,ogni esperienza, ogni viaggio non sono altro che petali da comporre. E allora bisogna davvero mettersi di lato, con i palmi verso l’alto, sulla stessa linea della gente, della vita, del sentire. Ma se fosse così non tutto ciò che si vive sarebbe un  petalo di quei fiori, altrimenti li vedrei  su tutti i balconi. Le possibilità sono così tante: un puzzle, un’epifania, un sorriso del caso, una stravagante fantasia.

E ci si accorge di sapere così poco e abbracciare per questo un cammino lento, graduale, come nel mito della caverna. Chissà poi, forse, all’uscita, troveremo finalmente i fiori gialli. O qualcosa di così diverso da innescare comunque una rivoluzione. Spesso non è la meta a cambiare tutto, ma il viaggio. Non l’esito previsto ma un inaspettato improvviso.

Delia Cardinale

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