Il sogno proibito di ogni ciclista barese è quello di avere una lunghissima pista ciclabile su tutto il lungomare, da Pane e pomodoro a San Francesco.
A volte se ne parla, un po’ la si progetta, in (piccola) parte già esiste, ma io ieri l’ho avuta a disposizione per un paio d’ore. Sono uscito, in sella alla mia cavalcatura rossa fiammante, alle 18:15 di un afoso pomeriggio estivo. L’atmosfera, tutt’intorno, aveva qualcosa di irreale: pochissima gente in giro, per la maggior parte stranieri, quasi nessuna macchina sulle quattro corsie – normalmente trafficatissime – del Nazario Sauro e dell’Araldo di Crollalanza; nello stesso momento si affrontavano Italia e Spagna per gli ottavi di finale del campionato europeo di calcio.
Giunto all’altezza del porto l’aria immobile e soleggiata viene scossa da un boato: centinaia di grida simultanee, poi qualche tromba da stadio fendono l’immobilità dell’atmosfera dal lato di Bari vecchia. L’Italia ha segnato, deduco.
La cosa non mi provoca fastidio: quest’anno la nazionale di calcio potrebbe persino essermi simpatica, nonostante continui a considerare il capitano e l’allenatore persone odiose e dalla dubbia moralità.
Da lì in poi la partita mi viene rimandata a spezzoni regolari, attraverso le televisioni o le radio che gracchiano dai tanti chioschetti dei rivenditori ambulanti di panini o di bibite, che affollano il tratto di lungomare antistante la Fiera del Levante. Non riesco a captare molto – un’azione da qui, un riepilogo da lì, un’urlo da un’altra parte – ma del resto non sono particolarmente interessato agli aggiornamenti.
Oltrepasso la pineta e mi ritrovo sul ponte che attraversa il canalone di Fesca: in lontananza qualcuno si gode la spiaggia e, su un campetto improvvisato con un paio di porte da calcetto piantate nella sabbia, qualcuno tira anche calci a un pallone. Lo trovo strano: gli appassionati di questo sport, in teoria, dovrebbero essere tutti incollati davanti alla televisione. Mi fa piacere scoprire che, al contrario, qualcuno preferisce la pratica al divano.
Sul lungomare di San Girolamo l’atmosfera è surreale: qualcuno – non molti – trova refrigerio in acqua, un gruppetto di ragazzini, a torso nudo, gioca a carte su un tavolo in plastica griffato Dreher, al centro di uno spiazzo; più in là un crocchio di persone è riunito attorno a una radiocronaca. C’è una luce implacabile sulle case popolari deserte: Luigi Ghirri si sarebbe sbizzarrito, in questo paesaggio urbano insolito. Un bambino seminudo e abbronzatissimo attraversa la strada trasportando dalla spiaggia verso casa una sedia a sdraio più grande di lui. Quanto desidererei la mia reflex.
Da lì al fresco della Pineta San Francesco il passo è breve: faccio una sosta rinfrancante all’ombra degli alberi, perdo una mezz’oretta abbondante fra gli attrezzi della palestra all’aperto – mentre il sole basso disegna ombre lunghe che sanno molto d’estate – e mi rilasso come poche altre volte, in questi ultimi tempi. Bisogna ammetterlo: questo angolo dedicato allo sport all’aperto è uno dei posti più azzeccati che questa città abbia da offrire. Qualcuno, nel trovare così poca gente ad utilizzare gli attrezzi, si augura che la nazionale di calcio possa giocare più spesso.
Riparto da lì e mi rendo conto di aver vissuto completamente fuori dal mondo per una quarantina di minuti, di non avere di idea del punto e della situazione in cui si trova la partita. Non m’importa, ma penso soltanto a rientrare a casa prima che finisca, per evitare di ritrovarmi nel traffico di quelli che si rimettono in moto dopo il triplice fischio. Pedalo più veloce, sulla via del ritorno, non presto attenzione a nessuna radiocronaca captata nell’etere, arrivo al garage in perfetto orario: le 19:45. Mentre sollevo la serranda c’è un secondo boato.
Sorrido: saremo tutti un po’ più contenti, stasera. Io che ho avuto la città tutta per me, voi che avete avuto la vostra nuova soddisfazione calcistica da ostentare in giro per la strade, con le bandiere, o sui social network.
Alla prossima.

Testo e foto di Manlio Ranieri

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