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Massimo Zamboni sta ballando new wave sulla pista di una discoteca di Berlino Ovest, parla con un’amica reggiana e prova un vago senso di stanchezza per la città in cui sta vivendo, occupando case in uno spazio libero di un tempo non libero ma comunque lontano dal clima asfittico della provincia emiliana. L’amica gli urla in un orecchio “aspetta, stasera devi proprio conoscere quest’altro di Reggio Emilia che è qua anche lui ed è assurdo tu non abbia mai conosciuto prima di oggi”. Glielo indica. Seduto su un divanetto c’è il giovane Giovanni Lindo Ferretti, aspetto stravolto e una vecchia valigia al suo fianco. La musica procede e i due iniziano a parlare fittamente. Giovanni Lindo ha la febbre e la situazione non confortevole del gelato inverno berlinese in piena guerra fredda è di poco aiuto. Dopo un’ora di conversazione e silenzio reciproco, di riconoscimento assoluto, Ferretti dice a Zamboni – col senso della perdita imminente, gioco maldestro del destino: «ma io domani devo partire, voglio andare a sud, sto troppo male qua». Non andrà mai a sud ma nella casa di Zamboni che lo curerà fino alla guarigione utile a scoprire una Berlino nuova e un legame inedito al centro dell’inverno europeo. La canzone che c’era quando ci siamo guardati per la prima volta – per poi separarci e mai separarci – raccontò una volta Zamboni – era Alabama Song dei Doors.
“Un freddo più pungente,
accordi secchi e tesi,
segnalano il tuo ingresso nella mia memoria”.

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