en-patia
Il gioco del 15 guardando il cielo 88 volte, 64 salti e 16 compagni, 27 sezioni a 3×10 elevato ad 8 m/s, 1989 pensieri al 7^ piano del 12, 1000 combattenti, 33 dischi volanti e 9 quadrati tra terra e cielo, un solo sasso e infinite combinazioni.
Semplicissimo, complicatissimo. Come le coordinate bancarie e le proiezioni astrali.
Dimmi adesso che mi conosci, chiunque tu sia. E perché moltiplico per 5 una qualche distanza.
Risolvimi e poi dimostrami, prima che lo faccia io. Chiunque tu sia.
E camminavo lungo la ferrovia con i Doors e il sole scialbo di settembre. Lei seduta a terra con la schiena contro una saracinesca arrugginita e la testa fra le ginocchia. Mi sono fermato perché quella donna con le pantofole mi ha dato una scossa elettrica. Avvicinandomi, esitando, le ho toccato l’omero magrissimo. Aveva un cattivo odore d’abbandono. Mi ha guardato con un odio che non so dire, senza una parola e…ho avuto paura. Paura di quello che siamo, di lei che poteva avere settant’anni e non voleva spiccioli. Avrei voluto parlarle, dirle che mi dispiaceva, anche se non sapevo esattamente di che. Ma lo sentivo: un’onda improvvisa. Ho girato l’angolo a capo chino, m’avessero spezzato il cuore, ancora. A lavoro ho detto che c’era vento. E poi dovevo assolutamente parlare del 1970 e del sogno americano. Dovevo assolutamente scrivere della solitudine, quella vera e inventare una storia. Non la conoscerò mai, eppure sono giorni che mi porto i suoi occhi in tasca.
Dimmi perché, chiunque tu sia. Parlami di queste antenne paraboliche sullo sterno e strappale via, se pensi sia giusto. Se puoi farlo. Succhiami via la rabbia dalle dita e tutta la frenesia, in qualche vecchio bar del centro. Dove fanno solo espresso e succo d’arancia. Armami prima che lo faccia da solo, seppellendomi. Prima che porti via dalla strada un bambino gitano vestito da femmina e qualcuno mi spezzi i polsi. Chiunque tu sia. Attraversami come le strisce pedonali e ti mostrerò i cerchi concentrici dei pesci, sul porto. E ti farò sedere sulle mie ginocchia, parlandoti d’indignazione sistemica, gabbie per canarini, Medio Oriente, case farmaceutiche e stregoneria. Ti darò tutto quello che so, chiunque tu sia.
Svolgimi come io ti svolgerei. Finito il caffè o il succo d’arancia.
Guardami come nessuno mi ha mai guardato, indovinando dove sono. E non prendermi in giro. Chiunque tu sia. Non dire che mi ami: è come puntare il dito contro l’arcobaleno. E poi lo dicono in troppi senza ritegno, senza volerne morire. Chiunque tu sia devi sapere che tutto muore, la guerra è per restare il più a lungo possibile. E a vincerla sono in pochissimi. Tu devi sapere tutto questo e ridere. Dire che non t’importa perché a me non importerà.
Non sporcarmi perché io non lo farò, chiunque tu sia. Così vorremo condividere scegliendoci ogni giorno. Anche dopo il caffè o il succo d’arancia. E cercheremo un altro bar, un altro porto.
Dimmi anche perché sorrido a tutti i cani e mi stupisco della bellezza, mai della putredine. Dimmi dell’urgenza di vivere e perché preferisco le analogie, chiunque tu sia. Io conoscerò così il rumore dei tuoi pensieri e di cosa hai bisogno. Scrivimi addosso un piano cartesiano con l’asse delle ordinate sempre più breve e una parabola che tende a infinito… e io ti disegnerò sulla schiena tutte le paure, perché tu possa non vederle ed essere sempre oltre.
Illuminami poi sul perché ieri ero un’altra persona e l’altro ieri un’altra ancora, chiunque tu sia. Ed io saprò qual è il tuo film preferito e perché fai certe domande.
Abbracciami quando sono arrabbiato con te e ti bacerò la fronte, raccontandoti tutto per immagini e quando soffrirai, il tuo dolore sarà più leggero perché io ne porterò la metà. Chiunque tu sia.
Non escludermi mai da ciò che credi io non possa comprendere e non trasferirmi addosso il tuo modo di affrontare le cose. Potrei così confidarti tutti i segreti sapendo che mi capiresti, chiunque tu sia.
Non farmi mai avere la percezione di non essere accettato per quello che sono, ne ho sofferto troppo e impazzirei. Non tentare di cambiarmi perché sono stato bocciato in questo 365 volte l’anno scorso. Io non ti vorrò diversa, ma certe volte desidero spezzare le catene e dovrai capirlo, come io capirò la tua sensibilità per certi argomenti. Chiunque tu sia. E parlami dei vizi di forma e non di sostanza, io farò lo stesso. Perché ti avrò scelta così e non potrò sopportare i modi in cui ti fai del male, chiunque tu sia.
Perdonami poi, se dovessi sbagliare: io ti perdonerò. E ti racconterò anche delle stanze verdi, anche se è difficile. Ti dirò del delirium tremens, di quanto sono stato stupido e dei naufragi. Ti dirò che sono stanco di tante cose e per tante altre ho un entusiasmo così spiccato da dovermi frenare. Ti chiederò delle tue di stanze verdi, perché se ci sono me ne accorgerò, aspettando che tu voglia parlarne ovviamente. Ma dovresti sempre sempre sapere che se ti guardo con attenzione, anche tu, come quella donna, diventi elettricità. E ti sentirò, chiunque tu sia.
Ma se dovessi accorgerti che sto delirando, che questo è troppo o scegli di nasconderti, non ingannarmi, non dire alla gente che sono pazzo. Parlami e dimmi che non mi amerai mai. Perché chiunque tu sia, avrai giocato bene per farmi credere di aver trovato quello che aspettavo senza cercare. E dovrò necessariamente lasciarti qualcosa, senza volerlo. E tu dovrai necessariamente lasciarmi qualcosa, senza volerlo. E pagare il fio del disincanto perché sarò triste a lungo. E dovrò trovare altri numeri, altre funzioni… ogni volta una grande fatica, una nuova espressione e tanta collera da diluire vivendo. Avrò commesso un errore e sarà difficile perdonarmi.
Sarò senza difese. E dovrai darmi il tempo d’inventarne altre che non conosci. Per sorriderti ancora, chiunque tu sia.
Delia Cardinale
(I gatti vedono al buio: è questo il cardine ideologico su cui ruotano gli undici racconti, con una volontà descrittiva umbratile, finalizzata alla consapevolezza sociale. I testi sono indipendenti uno dall’altro e sono stati scritti in momenti diversi, seguendo l’estro della contingenza. L’occhio di gatto è anche un tipo di quarzo che m’affascinava da bambina, assimilabile simbolicamente al terzo occhio, quindi all’intuito e alla visione. Questa raccolta affronta il rapporto problematico che l’individuo instaura con se stesso, l’alterità e vari sistemi ideologici che informano la società moderna. Non c’è indagine, solo racconto, gusto per una scrittura-ponte che tenta di comunicare un messaggio o si svolge in se stessa come una confessione. Dietro le parole c’è una sensibilità versatile che si sperimenta, in bilico tra interiore ed esteriore sull’altalena combinatoria dell’invenzione. Alcune storie sono reinterpretazione del vero, personale e altrui, altre pura immaginazione. Ognuna postula un obiettivo da raggiungere: che distolti gli occhi dalla lettura, una tematica suggerita possa diventare oggetto del pensiero.
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