Tutti pazzi per il k-pop: la musica coreana fra tradizione e modernità
Dopo l’articolo sulla musica giapponese continua il nostro viaggio nel pop dell’estremo oriente. Punto di partenza è stata la conferenza che le esperte Annamaria Lucia e Haneul Lee del Centro di lingua e cultura giapponese Momiji di Bari hanno tenuto durante il Festival dell’Oriente a Bari, riscuotendo grande interesse ed entusiasmo fra il pubblico. Sono infatti sempre più numerosi anche da noi i fan del k-pop, come si può dedurre dalle riviste in edicola, dai primi cantanti k-pop italiani o dalle audizioni all’ultima edizione di X-Factor. Ma sbaglierebbe chi pensasse di ridurre la musica coreana solo al k-pop.
La tradizione coreana è molto antica e fra le sue prime espressioni troviamo i balli sciamanici, che servivano per esempio a propiziare buoni raccolti. In seguito si diffonde la musica di corte, tradizionalmente divisa in aak, legata a rituali confuciani, tangak (sempre di origine cinese) e hyangak (di origine coreana). L’aak, in particolare, fu importata nella penisola coreana nel 1.116, grazie al dono di 428 strumenti musicali e 572 costumi da parte dell’imperatore cinese. Molto importanti fin dall’antichità sono danze come la pungmul, che coinvolge dozzine di artisti in costante movimento, e la buchaechum o “danza dei ventagli”, ormai eseguita principalmente per i turisti. Questo forse spiega l’amore che tuttora hanno i coreani per le coreografie elaborate.
Nel diciassettesimo secolo nasce il pansori, una narrazione musicale basata su un cantante accompagnato da un tamburo, dichiarato patrimonio dell’umanità nel 2003. Gli strumenti musicali tradizionali coreani possono dividersi in strumenti a corde (come il gayageum, una sorta di arpa orizzontale a 12 corde), strumenti a fiato (come il daegeum) e strumenti a percussione (come lo janggu).
La musica occidentale arriva in Corea grazie a un missionario americano, Henry Appenzeller, che nel 1885 comincia a insegnare a scuola canzoni folk inglesi, traducendole in coreano. Questi canti occidentalizzanti diventeranno famosi col nome di changga e serviranno a esprimere il malcontento della popolazione verso l’oppressore durante l’occupazione giapponese (1910-1945). In quegli anni nasce anche il trot, ispirato agli enka (ballate sentimentali nipponiche).
Negli anni 50 e 60 si fa sentire l’influenza musicale USA per via delle molte basi militari sorte dopo la divisione della penisola coreana in due stati, uno comunista e l’altro filo-occidentale. E durante la Guerra di Corea (1950-1953) molte star americane si recano sul fronte di battaglia per alzare il morale dei soldati. Negli anni 70 artisti autoctoni iniziano a proporre canzoni rock e il sempreverde trot, ma si tratta di produzioni che difficilmente riescono a varcare i confini nazionali. Le cose cominciano a cambiare nel 1992, con l’arrivo in Corea dell’hip hop, grazie a gruppi come Seo Taji and Boys, considerato da molti il precursore del k-pop. Dalla metà anni 90 nascono i primi veri e propri “teen idol” come gli H.O.T. (1996), gli Shinwa (1998) e i g.o.d. (1999), che ricordano omologhi occidentali come Backstreet Boys, Boyzone o Spice Girls. Il k-pop acquista la fisionomia attuale, fatta di look tra il glam e il new romance, elaborate coreografie, testi che mischiano coreano a inglese e un pop commerciale che alterna ballate a ritmi più dance: un cocktail che ottiene immediatamente un enorme successo in tutta l’Asia orientale.
Si comincia così a parlare della Korean Wave, una moda che non riguarda solo la musica ma anche i popolarissimi drama (serial tv) e i film di registi come Kim Ki-Duk (Ferro 3), Park Chan-wook (Old Boy) o Bong Joon-ho (Memories of Murder), che invadono i mercati di paesi vicini come Cina, Giappone o Tailandia ma anche quelli di società molto diverse come l’India, l’America o l’Europa. La cultura popolare coreana diventa improvvisamente figa e tutti vogliono assomigliare ai coreani, come nel caso passato alla cronaca di un ragazzo brasiliano sottopostosi a innumerevoli interventi chirurgici pur di ottenere un “look asiatico”.
Agli inizi degli anni 2000 si sciolgono i primi gruppi e ne nascono di nuovi, si parla così di una nuova k-pop che vede protagonisti cantanti come Bi Rain (1982), il rapper e icona fashion G Dragon (1988) e Se7en (1984) o girl band come le popolarissime Girls’ Generation (2007), capitanate da Taeyeon (1989), senza dimenticare star come Big Bang (2006), 2NE1 (2009), Wonder Girls (2007), TVXQ (2003) o Super Junior (2005). Nel 2005 Bi Rain è il primo artista coreano a esibirsi al Madison Square Garden di New York e il suo successo è tale che viene scelto per recitare come protagonista in due film hollywoodiani: Speed Racer (2008) e Ninja Assassin (2009), mentre in anni più recenti gli artisti coreani come i Block B (2011) hanno cominciato a esibirsi anche in Italia per la felicità dei fan nostrani, accampati fin dalla notte prima fuori dal Fabrique.
Nel 2012 la popolarità della musica coreana raggiunge l’apice grazie a PSY (nome d’arte di Park Jae-sang, 1977), il cui singolo Gangnam Style raggiunge un successo mai visto in termini di visualizzazioni su YouTube, che lo porta a girare tutto il mondo e duettare con celebrità come Snoop Dogg. Altri gruppi della generazione più recente del k-pop sono i Bangtan Boys (2013), le Red Velvet (2014), le Gfriend (2015), gli EXO (2011) e i GOT7 (2014).
Per quanto il loro sia un mestiere ambitissimo, non si deve però credere che la vita dei teen idol coreani sia tutta rose e fiori, anzi. Gli idol sono schiavi delle agenzie che li producono: costretti ad allenarsi anche di notte, vivono in dormitori comuni per aumentare l’affiatamento con gli altri membri del gruppo. Ogni gruppo deve aderire fedelmente all’immagine decisa a tavolino dai produttori (“cute”, “sexy”, ecc.) e i contratti possono durare fino a quindici anni, con penali altissime in caso di rescissione. I ritmi di lavoro sono tali che non si è in grado di vedere i propri amici e si può arrivare a svenire dalla fatica.
Un idol è tenuto a osservare in pubblico un’etichetta irreprensibile, gli è vietato anche bere o fumare per non parlare delle relazioni sentimentali. Deve sembrare in tutto e per tutto perfetto, per essere un modello per i giovani. Inoltre, visto che in Corea del Sud è importante il concetto di bellezza esteriore, la pelle deve essere molto chiara e perfetta e molti idol sono costretti a sottoporsi a interventi di chirurgia estetica per ottenere la bramata v-line (viso assottigliato, occhi grandi, naso e bocca piccole).
Molti sono gli show televisivi dedicati al k-pop e i fan li seguono tutti con devozione, brandendo le loro lightstick, bacchette fluorescenti da agitare a ritmo di musica. E, ovviamente, per poter accedere a spettacoli e concerti spesso bisogna aver comprato l’ultimo cd o gadget vari. Ogni fan ha il suo bias, il cantante di un gruppo che preferisce di più, e l’ultimate k-pop bias, ossia l’idol preferito in assoluto. Mentre vengono chiamati sasaeng i fan ossessivi, tristemente noti perché pedinano gli idol preferiti, si procurano i loro numeri privati di telefono e si introducono nelle loro case. Sono la degenerazione estrema di un uragano culturale che sta conquistando sempre più adolescenti italiani, soppiantando nei loro cuori il pop nostrano o anglosassone, complici video curatissimi, look d’effetto e testi non banali.
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