Alta fedeltà 2016: i 5 album dell’anno
Come consueto, rinnovo l’appuntamento con la carrellata dei 5 album che più mi hanno colpito nell’arco dell’anno, con la consapevolezza che ne saranno usciti centinaia migliori che sono – ahimè – sfuggiti al mio controllo.
Chi mi conosce si stupirà di leggere una “classifica” molto meno rockettara rispetto agli anni precedenti, più introspettiva e paranoica: si sa, la musica è uno stato d’animo, e dunque segue gli umori dell’anno che è stato.
1 & 2 (Ex-aequo): Afterhours: “Folfiri o Folfox” e Marlene kuntz: “Lunga attesa”
Non è un caso che le prime due posizioni siano occupate a pari merito dai due gruppi storici del rock alternative tricolore. Le carriere delle due band hanno corso sempre in parallelo: hanno sfondato le barriere nei primi anni ’90 – con un botto paragonabile al muro del suono infranto da un Concorde – introducendo nel panorama musicale nostrano qualcosa di completamente inedito, al quale tutte le band che suonano un certo tipo di rock hanno dovuto pagare dazio da quel momento in poi. Hanno avuto fasi più introspettive, passaggi poco fortunati dal palco fiorito di Sanremo – spaesati, a mio avviso, come trote nell’acqua di mare – e un certo numero di album in cui la vena e l’ispirazione parevano leggermente annebbiate. Sia gli uni quanto gli altri, invece, nel corso del 2016 sembrano aver recuperato la carica emotiva ed energetica, l’ispirazione dei tempi migliori, dando alle stampe due album di ottima fattura. Questa felice “coincidenza” mi è sembrata così rilevante da riservargli insieme il gradino più alto del podio.
3 – Kings of leon: “WALLS”
Sempre più maturi, i Kings of leon hanno trovato in questo “Walls” un ottimo equilibrio fra la loro vena di blues oscuro e la giusta dose di melodia. A tratti si sentono, negli arrangiamenti, evidenti influenze di certe band mainstream, ma i fratelli Followill mantengono sempre un’identità precisa, inconfondibile, a partire dal timbro vocale di Anthony.
4 – Daughter: “Not to disappear”
Atmosfere dark, una bellissima voce femminile, dolce e malinconica, arrangiamenti molto curati per il secondo episodio in studio dei londinesi Daughter. Una prova molto convincente, con atmosfere fra XX, Cure e Cocteau twins, ambientazioni molto delicate e introspettive e qualche traccia che termina in riuscitissimi crescendo.
5 – The Veils: “Total depravity”
Dopo un album piuttosto orecchiabile, i The Veils tornano a sfoggiare il loro lato più complicato, più oscuro, rispolverando le influenze di Nick Cave e dei Radiohead e mettendo per un attimo da parte quelle più britpop. In quest’album mancano quasi completamente episodi melodici, mentre si assiste a molta più sperimentazione, un po’ di elettronica, qualche pizzico di follia ben incastonato. Non si tratta di un disco facile e va, probabilmente, ascoltato sotto una certa luce, ma se preso dal giusto punto di vista se ne apprezza “la grande bellezza” (e la citazione è voluta, dato che proprio i The Veils sono stati utilizzati, in passato, proprio da Sorrentino nelle sue colonne sonore)
Vale la pena, inoltre, segnalare qualche singolo estratto da album non presenti in questa classifica ma degno, di per sè, di una menzione speciale:
1 – The Zen Circus: “L’anima non conta”
2 – Edda: “Benedicimi”
3 – Radiohead: “Burn the witch”
4 – Management del dolore post-operatorio: “Naufragando”
5 – Nick Cave and the bad seeds: “Jesus alone”
Manlio Ranieri