Das Unbehagen in der Kultur
Il disagio della civiltà
2 Gli uomini… tendono alla felicità, vogliono diventare e rimanere felici… Molto semplicemente, il programma del principio del piacere stabilisce lo scopo della vita. Questo principio domina l’operare dell’apparato psichico fin dall’inizio… eppure il suo programma è in conflitto con il mondo intero, tanto con il macrocosmo quanto con il microcosmo… Potremmo dire che nel piano della Creazione non è incluso l’intento che l’uomo sia “felice”. Quello che nell’accezione più stretta si chiama felicità scaturisce dal soddisfacimento, per lo più improvviso, di bisogni fortemente compressi e per sua natura è possibile solo in quanto fenomeno episodico. Qualsiasi perdurare di una situazione desiderata dal principio del piacere produce soltanto un sentimento di modesto benessere; siamo così fatti da poter godere intensamente del solo contrasto, ma soltanto assai poco di uno stato di cose in quanto tale. Le nostre possibilità di essere felici risultano quindi limitate già dalla nostra costituzione. Provare infelicità è assai meno difficile. La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quei segnali di allarme che sono il dolore e l’angoscia; dal mondo esterno che contro noi può infierire con strapotenti spietate forze distruttive; e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che ha origine nell’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra… [Una] tecnica per sottrarsi al dolore ricorre agli spostamenti della libido, che il nostro apparato psichico consente e in virtù della quale la funzione dell’apparato acquista tanta duttilità. Si tratta di scambiare le mete pulsionali in modo che non possano soggiacere alla frustrazione da parte del mondo esterno. A ciò presta il suo aiuto la sublimazione delle pulsioni. Viene ottenuto il massimo quando si riesce ad accrescere in misura sufficiente il piacere tratto dalle fonti del lavoro psichico e intellettuale… La gioia ad esempio provata dall’artista nel creare e dare corpo alle immagini della sua fantasia, o quella del ricercatore che risolve problemi e scopre il vero, ha una qualità particolare… Ci sembra “più fine e più elevata” ma, a paragone di quella derivante da moti pulsionali più rozzi, primari, che siano stati saziati, la sua intensità è smorzata: non scuote la nostra esistenza corporea. La debolezza di questo metodo sta nel fatto che non è applicabile generalmente, che è accessibile solo a pochi… [Ma vi è anche la risorsa del] comune lavoro professionale, accessibile a tutti… Nessun’altra tecnica di condotta della vita lega il singolo così strettamente alla realtà come il concentrarsi sul lavoro, poiché questo lo inserisce almeno in una parte della realtà, nella comunità umana. La possibilità di spostare una forte quantità di componenti libidiche, narcisistiche, aggressive e perfino erotiche sul lavoro professionale e sulle relazioni umane che ne conseguono… L’attività professionale procura una soddisfazione particolare se è un’attività liberamente scelta, cioè tale da rendere utilizzabili, per mezzo della sublimazione, inclinazioni preesistenti, moti pulsionali non intermittenti… Eppure il lavoro come cammino verso la felicità è stimato poco dagli uomini… [Seguendo un’altra via] otteniamo il soddisfacimento attraverso illusioni riconosciute come tali, senza lasciarci turbare nel godimento dal divario che le separa dalla realtà. La regione da cui queste illusioni scaturiscono è quella della vita fantastica; a suo tempo, quando si compì lo sviluppo del senso della realtà, essa venne espressamente sottratta alle pretese dell’esame di realtà e rimase destinata all’appagamento di desideri difficilmente realizzabili. Il primo posto tra queste soddisfazioni fantastiche è occupato dal godimento delle opere d’arte… La leggera narcosi in cui l’arte ci trasferisce non può tuttavia offrirci che un’evasione temporanea dagli affanni della vita… Un altro procedimento… Per qualche aspetto ognuno di noi si comporta come il paranoico, correggendo, tramite una formazione di desiderio, un lato del mondo per lui intollerabile e iscrivendo nella realtà questo delirio… Un numero notevole di persone si accinge insieme al tentativo di procurarsi una garanzia di felicità e un riparo dalla sofferenza tramite una trasformazione delirante della realtà. Alla stregua di un deli- 3 rio collettivo siffatto dobbiamo caratterizzare anche le religioni dell’umanità… Non vi è qui un consiglio che valga per tutti; ognuno deve trovare da sé il modo particolare in cui può essere felice. I più vari fattori contribuiranno a indicare la via della sua scelta… Come il commerciante prudente evita di investire tutto il suo capitale in una sola impresa, così, forse, anche la saggezza che nasce dalla vita ci consiglierà di non attenderci tutto i soddisfacimento da una sola aspirazione. Il successo non è mai sicuro… Colui che reca in sé una costituzione pulsionale particolarmente sfavorevole e non ha correttamente effettuato la trasformazione e il riordinamento delle sue componenti libidiche… troverà difficile ottenere felicità dalla sua condizione esterna… Come ultima tecnica di vita, che gli promette se non altro soddisfacimenti sostitutivi, gli si offre la fuga nella malattia nevrotica… Oppure si butta in quel disperato tentativo di rivolta che è la psicosi. La religione pregiudica questo gioco di scelta e di adattamento, in quanto impone a tutti in modo uniforme la sua via verso il raggiungimento della felicità e la protezione dalla sofferenza. La sua tecnica consiste nello sminuire il valore della vita e nel deformare in modo delirante l’immagine del mondo reale… A questo prezzo, mediante la fissazione violenta a un infantilismo psichico e la partecipazione a un delirio collettivo, la religione riesce a risparmiare a molta gente la nevrosi individuale…
3 [Una tesi sostiene] che gran parte della nostra miseria va addossata alla nostra cosiddetta civiltà; saremmo molto più felici se vi rinunciassimo e trovassimo la via del ritorno a condizioni primitive… Già nella vittoria del Cristianesimo sulle religioni pagane deve essere stato operante tale fattore ostile alla civiltà, poiché esso era per molti versi simile alla svalutazione della vita terrena compiuta dalla dottrina cristiana. [Un] evento determinante si ebbe quando, col progresso dei viaggi di esplorazione, l’uomo entrò in contatto con popoli e razze primitivi. In conseguenza di una osservazione insufficiente e di una interpretazione errata dei loro usi e costumi, parve agli europei che quei popoli conducessero una vita semplice, con pochi bisogni, felice, una vita che a loro, visitatori di una civiltà superiore, non era dato realizzare… L’ultimo evento determinante ci è particolarmente familiare; esso si verificò quando si cominciò a conoscere il meccanismo delle nevrosi, che minacciano di distruggere quel po’ di felicità concessa all’uomo civile. Si trovò che l’uomo diventa nevrotico perché incapace di sopportare il peso della frustrazione impostagli dalla società per servire i suoi ideali civili, e se ne dedusse che, se queste pretese venissero eliminate o ridotte di molto, tornerebbero le possibilità di essere felici. […]
Un estratto dal Disagio della Civiltà, Sigmund Freud, 1930