Per quanto mi riguarda, non sono mai stato in India, né nella maggior parte dei posti illuminati e brillanti che rispondono alla voce “McCurry” sul motore di ricerca del caso. Verrebbe quasi spontaneo chiedersi, ed accade spesso per chi dall’esterno giudica la tua situazione:”Come puoi apprezzare a pieno copie di un originale che non hai mai visto?”. Certo è meglio vedere di persona gli scatti di quel grande fotografo, quei posti così colorati, impolverati, sudati, ricchi di vita ingenua e passiva all’operato della sua macchina fotografica. Però così sarebbe tutto inutile. A cosa servono allora i libri? Le testimonianze altrui? Una qualunque spiegazione? C’è un maestro perché ci sono degli uditori che prendono appunti, la stessa cosa accade con un reporter e con la sua testimonianza scritta su catalogo. Il viaggio è anche un viaggio mentale, chissà Eco quanti ne avrà fatti in posti di altre epoche che in teoria non possono essere mai rivisitati per come erano. Gli intellettuali seduti comodamente sulle loro poltrone sfogliano gustosamente pagine del 1300 o 1700 e con questo atteggiamento, viaggiano. Un libro fotografico e le testimonianze, nonché le fotografie che di seguito allineerò sono un regalo dell’artista fotografo, quasi un favore come dire “fidatevi è tutto bello come appare”. Quindi ha senso fondere un browser per ricercare magari in quindici minuti nazioni che distano tra loro almeno quindici anni di rotaie. Ha senso perché non c’è tempo. Perciò come in matematica o in fisica o nella filosofia dei dottori medioevali ci si atteneva all’auctoritas  che sanciva i vari qde (quod erat demonstrandum) così l’esattezza di Steve McCurry e dei suoi corollari indiani.

Estratti da un’intervista per Io Donna del 9 Dicembre 2015

Il mio amore per l’India nasce dal fatto che nel subcontinente convivono religioni diverse, la cultura è antica e al tempo stesso distinta dai paesi limitrofi. A colpirmi, come fotografo, sono gli estremi e soprattutto le persone che vivono in povertà, in villaggi fermi alla metà del secolo scorso. E poi c’è tanta gente che vive per strada, in città moderne. Paesaggi, culture, geografie, persone e cibi tanto diversi da loro ma sempre aperti e ospitali. Anche grazie al fatto che a parlare inglese sono in tanti e quindi sono in grado di muovermi liberamente. Ma a farmi tornare in India è anche il clima, mite. [S. McCurry]

Steve, qual è il ritratto che meglio rappresenta il tuo lavoro?
Un vecchio con la barba rossiccia, quasi arancione. A petto nudo, indossa dei medaglioni attorno al collo. È un mago, membro di una tribù nomade. Di professione fa degli spettacoli itineranti, nei villaggi, divertendo la gente con un suoi trucchi.

Dell’India che cosa ha attirato maggiormente la tua attenzione?
Menestrelli come lui, intrattenitori che appartengono al passato perché oggi gli indiani hanno il cellulare, la televisione e internet. Si intrattengono da soli, con la tecnologia, anche nei villaggi. Non hanno più bisogno dei maghi, la tradizione è finita in soffitta.

Che fine fanno i menestrelli?
Vivono con le loro famiglie, hanno le loro greggi e fanno la vita dei nomadi. Ma per loro muoversi sta diventando sempre più difficile a causa delle recinzioni, delle autostrade e dell’urbanizzazione che ha diminuito i pascoli. Sarebbe una buona idea trovare fonti alternative di reddito per queste persone.

Perché il tuo obiettivo predilige i più umili?
I ricchi sono inaccessibili, vivono dietro un cancello e non sono visibili. Diversa la situazione dei poveri: li puoi fotografare, ci puoi parlare, sono accessibili e visibili.

Oltre all’India, quali sono le tue mete preferite?
Per divertirmi scelgo l’Italia perché offre tantissimo dal punto di vista storico, culturale, artistico, paesaggistico, culinario e… per gli ottimi vini! Ma anche la Birmania è un posto splendido per andare in vacanza.

E per lavoro?
Il Tibet mi ha sempre affascinato, come d’altronde Cuba.

Quella del fotografo è una professione che consiglieresti anche ai ragazzi di oggi?
Ognuno di noi può scattare fotografie: è un piacere, un modo per esprimersi e fissare i ricordi, un modo per esplorare il mondo ed essere creativo. Ma sono cauto e non voglio creare false speranze: è un mestiere difficile e non è per tutti, bisogna lavorare parecchio.

Viaggi da solo?
In genere sì, tutt’al più con un assistente locale, un autista.

Fonte:

Steve McCurry: «Ho scritto tutto il mio amore per l’India»

“Il fotografo statunitense Steve McCurry è noto per le sue straordinarie immagini dai luoghi più remoti del mondo, e in particolare per la copertina della rivista National Geographic del 1985 che vedeva protagonista una ragazza afghana dagli indimenticabili occhi verdi. Nel 2015 il fotografo ha pubblicato il suo ultimo libro, Steve McCurry: India, che ripercorre le oltre 70 visite che dal 1978 lo hanno portato nella nazione asiatica.In quel primo viaggio di oltre trentacinque anni fa, McCurry arrivò con pochi vestiti e una busta piena di pellicole, e a quanto dichiara, il suo primo pensiero fu “C’è un sacco di gente qui!”. Le foto del libro fotografico provengono da molti viaggi diversi, che danno anche un’immagine di come sia cambiato il paese dagli anni Settanta a oggi. Secondo la prefazione a opera dello storico William Dalrymple, “Forse il contrasto più forte che McCurry illustra è quello che esiste in India tra ricchi e poveri”, lodando l’abilità del fotografo di gettare luce sulle “straordinarie contraddizioni” dell’India.Per capire a cosa si riferisce, basta ammirare la convivenza nel libro di una fotografia di un ragazzo senza casa che cerca di vendere rose ad un semaforo di Mumbai, e quella di Harshvardhan Singh, il principe ereditario del Dungarpur, mentre siede regalmente in mezzo a una collezione di trofei di caccia” (http://www.tpi.it/mondo/india/steve-mccurry-india-foto)

Galleria fotografica:

Women in Varanasi, India, 2010                    darlin_steve-mccurry-india-photography-21

steve-mccurry-india-3                    darlin_steve-mccurry-india-photography-3

the-blue-city-india-2010-by-steve-mccurry-born-1950-c31950d

 

 

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