La falsità
La Rochefoucauld, François VI duca di, principe di Marcillac.- Scrittore e moralista francese (Parigi 1613 – ivi 1680). Partecipò, a fianco del Condé, alle lotte politiche della Fronda, e fu ferito al volto nel combattimento della Porte Saint-Antoine (1652); sottomessosi poi all’autorità del re Luigi XIV, andò in esilio e si isolò nelle sue terre di Verteuil. Tornato a Parigi (1656), si dedicò alle conversazioni letterarie e alle meditazioni morali che la sua esperienza di vita rendeva, se non liete, lucide e acute. Pubblicò (1662) i Mémoires, relativi agli anni 1624-52, indi le Maximes (1665, 1a ed.; altre edizioni accresciute, 1666, 1671, 1674, 1678, 1693), sorte nella cerchia di M.me de Sablé che, con M.me de la Fayette, fu tra le poche gentildonne intellettuali che La R. frequentò in questo periodo. Alle Maximes La R. impresse il suo carattere altero, amaro, e il suo pessimismo; egli nota come la virtù si dissolva nell’interesse egoistico, che può mascherarsi nelle forme più varie e seducenti, ma non si lascia mai vincere e dominare. L’intimo vigore delle Maximes sta in quei momenti dove si svela il congegno segreto dell’animo umano, momenti che danno risalto ad alcune linee, profondamente incise, di un ritratto morale dell’uomo nel quale l’autore rappresentò anche sé stesso.
Una riflessione dell’autore:
La falsità
Si può essere falsi in vari modi. Ci sono uomini falsi che vogliono sembrare sempre ciò che non sono. Ce ne sono altri, più in buona fede, che sono nati falsi, sono i primi ad ingannarsi e non vedono mai le cose come sono. Alcuni hanno la mente retta e falso il gusto. Altri hanno falsa la mente e una certa rettitudine nel gusto. Alcuni poi non hanno nulla di falso né nella mente, né nel gusto, ma sono rarissimi, perché, in generale, non c’è quasi nessuno che non abbia un po’ di falsità in qualche aspetto dell’intelligenza o del gusto. La falsità è così universale perché le nostre qualità sono incerte e confuse, e così pure le nostre opinioni: non vediamo le cose come effettivamente sono, le stimiamo più o meno di quanto valgono e non ci disponiamo in rapporto ad esse nel modo più opportuno né per loro né per la nostra condizione. Questo errore insinua un’infinità di falsità nel gusto e nella mente: il nostro egoismo si lascia lusingare da tutto ciò che ci si presenta sotto le parvenze del bene; ma, essendoci molti tipi di beni che colpiscono la nostra vanità o il nostro carattere, li seguiamo per abitudine o per comodità, li seguiamo perché li seguono gli altri, senza considerare che una stessa opinione non deve essere ugualmente abbracciata da ogni genere di persone e che bisogna seguirla più o meno assiduamente a seconda che sia più o meno conveniente per chi la segue. Si teme di mostrarsi falsi nel gusto ancor più che nell’intelligenza. Le persone dabbene devono approvare senza prevenzioni ciò che merita approvazione, seguire ciò che merita di essere seguito e non piccarsi di nulla. Ma ci vuole una straordinaria misura: bisogna saper distinguere ciò che è bene in generale e ciò che ci è utile, e seguire con raziocinio la naturale inclinazione che ci conduce verso le cose che ci piacciono. Se gli uomini volessero eccellere soltanto per le proprie doti e attenendosi ai loro doveri, non ci sarebbe nulla di falso nel loro gusto e nella loro condotta; si mostrerebbero come sono, giudicherebbero le cose col loro discernimento e le sceglierebbero a ragion veduta; ci sarebbe una stretta connessione tra le loro opinioni e le loro idee; il loro gusto sarebbe vero, autonomo e non attinto dagli altri e vi si atterrebbero per libera scelta e non per abitudine o per caso. Se si è falsi quando si approva ciò che non merita approvazione, non lo si è di meno, il più delle volte, quando ci si vuol far valere per qualità che sono buone in sé, ma non si addicono a noi: un magistrato è falso quando si picca di essere coraggioso, benché in certe circostanze possa essere ardimentoso; deve mostrarsi deciso e sicuro in una sedizione che ha diritto di sedare, senza temere di essere falso, ma sarebbe falso e ridicolo se si battesse in duello. Una donna può amare le scienze, ma non tutte le scienze le si addicono sempre e la passione per certe scienze non le si addice mai ed è sempre falsa. Bisogna che siano la ragione e il buon senso a stabilire il valore delle cose e a determinare il nostro gusto ad attribuir loro il rango che meritano e che ci conviene loro attribuire; ma quasi tutti gli uomini si sbagliano su questo valore e su questo rango, e c’è sempre falsità in questo abbaglio. I più grandi re sono quelli che s’ingannano più spesso: vogliono superare gli altri uomini in valore, in sapere, in galanteria e in mille altre qualità su cui tutti possono competere; ma, quando si spinge troppo oltre, questo gusto di superare gli altri può essere falso in sé. La loro emulazione deve avere un altro oggetto: devono imitare Alessandro, che accettò di gareggiare alla corsa soltanto contro dei re, e ricordarsi che devono competere soltanto sulle qualità proprie della regalità. Per quanto valente possa essere un re, per quanto saggio e spiritoso, troverà un’infinità di persone che avranno queste stesse qualità quanto lui, e il desiderio di superarle sembrerà sempre falso, e spesso gli riuscirà impossibile realizzarlo; ma se si dedica ai suoi veri doveri, se è magnanimo, se è un grande capitano e un grande politico, se è giusto, clemente e generoso, se tratta bene i suoi sudditi, se ama la gloria e la tranquillità del suo Stato, troverà soltanto dei re da vincere in una così nobile gara e non ci sarà che verità e grandezza in un progetto così giusto: il desiderio di superare gli altri non avrà nulla di falso. Questa emulazione è degna di un re ed è la vera gloria a cui deve aspirare.