Quello che segue è l’estratto da un saggio di Edgar Allan Poe, pubblicato sul Graham Magazine nel lontano 1842

Il racconto vero e proprio, secondo noi, offre indiscutibilmente un migliore terreno per l’esercizio del talento più elevato, di quanto possa offrire il più ampio dominio della semplice prosa. Se fossimo costretti a dichiarare quale sia la maniera più proficua in cui il genio superiore possa dare una dimostrazione delle sue facoltà, senza esitare noi risponderemmo: nella composizione di una poesia in rima che non superi in lunghezza quel che si potrebbe leggere in un’ora. Il grado più elevato di poesia può esistere esclusivamente all’interno di questi limiti. Rispetto a ciò, noi possiamo dire che in quasi tutte le categorie della composizione, l’unità di effetto, o di impressione, è un punto della massima importanza. È chiaro, poi, che tale unità non può essere del tutto mantenuta in quelle opere la cui lettura non può essere completata in una seduta. Possiamo continuate la lettura di un componimento in prosa, per la natura stessa della prosa, molto più a lungo di quanto si possa perseverare, pur animati dalle migliori intenzioni, nella lettura di una poesia. Quest’ultima, se soddisfa davvero le esigenze del sentimento poetico, provoca un’esaltazione dell’anima che non può essere sostenuta a lungo. Tutte le sollecitazioni elevate debbono essere transitorie. E, senza l’unità d’impressione, gli effetti più profondi non si possono raggiungere…(omissis)…se invece ci chiedessero di indicare quell’altra classe di composizioni che, oltre a una poesia del genere di quella che abbiamo suggerito, riesce meglio a soddisfare le esigenze del genio elevato – che gli offra l’ambito di applicazione più vantaggioso – diremmo senza esitazione il racconto in prosa…alludiamo alla breve narrativa in prosa che richiede una lettura che va da mezz’ora a un’ora, o anche due. Il comune romanzo presenta problemi a causa della sua lunghezza, per le ragioni già esposte nella sostanza. Poiché non può essere letto in una seduta, si priva da sé, com’è ovvio, dell’immensa forza che gli deriva dalla totalità. Gli interessi terreni che intervengono nelle pause di lettura, modificano, annullano, o contrastano, in maggiore o minore misura, le impressioni prodotte dal libro. Ma da sola, la mera sospensione della lettura, sarebbe sufficiente a distruggere la vera unità. In un racconto breve, invece, l’autore ha la possibilità di sviluppare la pienezza dei suoi scopi, qualunque essi siano. Nel corso di un’ora di lettura, l’anima del lettore è in balia dello scrittore. Non ci sono influenze estrinseche che derivano da stanchezza o interruzione. Un abile artista letterario ha costruito un racconto. Se è accorto, non ha adattato i suoi pensieri per metterci dentro dei fatti; ma, avendo pensato, con deliberata cura, di raggiungere un certo effetto unico e incomparabile, egli inventa quei fatti in un secondo momento, poi li combina in una maniera che possa essergli di aiuto per arrivare meglio a questo effetto premeditato. Se la sua frase d’esordio non tende alla rivelazione di questo effetto, ciò significa che ha fallito sul nascere. In tutta la composizione non ci dovrebbe essere neppure una parola che non sia legata, direttamente o indirettamente, allo scopo prestabilito. E con tali mezzi, con tale cura e perizia, alla fine si dipinge un quadro che, nella mente di chi lo contempla con un’arte affine, lascia una sensazione di soddisfazione massima. L’idea del racconto è stata esposta senza macchia, perché indisturbata, e questo è un fine irraggiungibile per un romanzo. Qui l’eccessiva brevità è eccepibile tanto quanto nella poesia; ma la lunghezza eccessiva è da evitare anche di più.

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