L’infinito mondo di Luigi Ghirri
Ghirri è stato un fotografo capace di stare al mondo con stupore e meraviglia per tutto quello che c’è. Ci ha lasciato un corpo di immagini profonde e al tempo stesso leggere, capaci di emozionarci e suggestionarci ogni volta e ancora ogni volta.
“Per lui fotografare significava essere sorpreso da qualsiasi cosa, trovare quell’emozione che ti fa immaginare la vastità dello spazio, anche nelle cose più quotidiane.” Sono parole del poetaGianni Celati, che di Ghirri fu amico. “Fotografava cose a cui nessuno bada. Per Luigi la foto doveva ridare dignità alle cose, doveva sottrarle agli schemi, ai giudizi sbrigativi di chi non guarda mai niente”.
LUIGI GHIRRI, ROMAGNA.
Tra il 1989 e il 1990 Ghirri tenne una serie di lezioni sulla fotografia all ‘Università del Progetto di Reggio Emilia. Queste lezioni sono state trascritte e pubblicate da Quodlibetcon il titolo “Lezioni di fotografia”. Ve ne riportiamo alcuni frammenti. Potranno essere di stimolo per quanti amano e studiano la fotografia. A noi hanno aiutato a ripulire lo sguardo.
LUIGI GHIRRI, LIDO DI SPINA.
“Io credo nel guardare alla fotografia come come a un modo di relazionarsi col mondo nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi la sua storia personale, il suo rapporto con l’esistente è sì molto forte, ma deve orientarsi attraverso un lavoro sottile, quasi alchemico, all’individuazione di un punto d’equilibrio tra la nostra interiorità – il mio intento di fotografo -persona – e ciò che sta all’esterno, che vive al di fuori di noi, che continua a esistere senza di noi e continuerà a esistere anche quando avremo finito di fare fotografia. E’ quello che ho sempre cercato, alla ricerca di quello strano e misterioso equilibrio tra il nostro interno e il mondo esterno.“
“Io ho sempre guardato all’immagine fotografica come a qualcosa che non si può definire,una specie di immagine impossibile. L’ho sempre vista come una strana sintesi tra la staticità della pittura e la velocità, che è qualcosa di interno alla fotografia, al suo processo di costruzione, cosa che l’avvicina al cinema“.
“Una delle grandi convinzioni, delle grandi teorie, soprattutto uno dei grandi miti a proposito della fotografia è l’idea che sia testimonianza di qualcosa che è successo. Testimonianza di quello che ho visto. E’ testimonianza di quello che ho visto ma è anche reinvenzione di quello che ho visto. Sostanzialmente la fotografia non fa altro che rappresentare le percezioni che una persona ha del mondo. In questo punto sono contenuti tutti i rapporti enigmatici, gli elementi misteriosi che sussistono nell’immagine fotografica.” “Credo che la fotografia possa metterci in relazione con il mondo in maniera profondamente diversa. La fotografia rappresenta sempre meno un processo di tipo conoscitivo, nel senso tradizionale del termine, o affermativo che offre delle risposte, ma rimane un linguaggio per porre delle domande sul mondo. Io, con la mia storia, ho percorso esattamente questo itinerario, relazionandomi continuamente con il mondo esterno, con la convinzione dinon trovare mai una soluzione alle domande, ma con l’intenzione di continuare a porne. Perché questa mi sembra già una forma di risposta.“
“Ho voluto guardare anche quello che stava dietro, alle mie spalle, e ho cominciato aconcepire tutto il mio lavoro di fotografo non più in termini di immagine singola, com’è nella concezione classica della fotografia di laboratorio, di committenza e della fotografia d’autore, dirette a trovare l’immagine capolavoro, sintesi di un determinato modo di vedere. Io ho cercato di costruire e progettare interi lavori, e costruire lavori interi, o progetti, significava pensare a una forma di narrazione per immagini anziché alla costruzione di singole immagini. Da lì ho cominciato a sviluppare una serie di ricerche che si articolavano in una maniera molto complessa. All’interno di ogni percorso, scoprivo man mano altre direzioni, altre aree di lavoro, altri orizzonti. Cioè non era mai un lavoro lineare.
Non è come imboccare l’‘autostrada: comincio da Modena, devo uscire a Roma e non mi interessa tutto quello che succede ai lati, non prendo nessuna uscita secondaria. Non. Il problema è che durante questo percorso c’è un progetto ben definito, c’è un itinerario tracciato, però è un itinerario che si muove, è il lavoro stesso con le fotografie che ti può provocare nuovi stimoli, suggerire nuove intuizioni. Ci sono cose che arrivano e non ti aspetti. E’ una progettualità preordinata, ma che non scarta nulla a priori, e contempla anche la casualità. Quindi un percorso a zigzag più che una linea retta. Allora la linea comincia ad assumere le sembianze di una vera e propria carta. Diventa una mappa, uno parte con una linea dritta e si ritrova una mappa, costituita da miliardi di piccolissimi segni che si collegano tra loro e costruiscono un orizzonte possibile“.