Ho visto anche degli zingari felici
A partire da Thomas Mann
Si, partiamo da Thomas Mann e da Tonio Kroeger, un racconto che mi ha particolarmente coinvolto, molto più degli altri due membri della triade che descrive nei termini del novecento (seconda guerra mondiale?) la vita letteraria e la genesi dell’artista tout court. Seppure molto significativi da questo punto di vista risultano la letteratura decadente del D’Annunzio operaio della parola, soprattutto nel Trionfo della Morte, dove si esibisce un audace Giorgio Aurispa contro il materialismo invincibile della provincia abruzzese, colui che era incapace di mettersi ad uno scrittoio e lavorare come tutte le persone dabbene, quello che viveva di periodi lunghissimi in cui vivevano mille vite le rime e i profumi limbici della letteratura estetica; il vitalismo d’annunziano molto forte come quello de Le vergini delle rocce, è sempre in bilico tra l’annullamento totale per sfuggire ad una vita che deturba e rende povera l’anima nobile ed eletta e l’ascesa estetica o mistica. Se Nietzsche nel Crepuscolo degli Dei giustificava la natura egoistica per quelle anime in ascesa, allora è perfettamente giustificato il dandy e la sua volontà di rompere il lassaiz faire boghese e la sua fontana di percezioni inascoltate. E’ indubbiamente importante Giorgio Aurispa, in quanto è lo stesso D’annunzio ad esprimersi sotto le mentite spoglie di un diastratto viaggiatore. E’ quindi necessario far riferimento ad esempi storici come D’annunzio per capire come funziona la vita estetica; se ci fermiamo alle parole del Diario del seduttore sicuramente siamo sulla buona strada per disegnare su foglio la fisionomia dell’esteta, ovvero di colui che per capriccio intellettuale rinuncia alle regole etiche di buon senso e preferisce il male alla morale, soprattuto quella incartapecorita cattolica. Kirkegaard, come i romantici anche per parte loro rifiutarono la ragione industriale e catalogatrice, preferendo una streben o una ubris, che remasse contro la, allora fiorente, società industriale (post 1848), distruggendo con un’esaltazione mistica le regole del contadino o dell’antiquario, così allora il filosofo danese specificò il funzionamento dell’artista. La vita estetica, quella del seduttore, colui che si abbandona ai piaceri giornalieri fuggendo il ricordo, seguendo la massima di Orazio (carpe diem), vivendo esclusivamente per fiorire nell’animo con un percezione esterna di benessere, soprattutto quella amorosa. Perché l’artista si occupa di ascoltare le percezioni, fermare il tempo, con un gesto da poco e con il calamaio a fianco detta leggi universali. Non come quelle dei manuali di economia o di diritto, ma leggi sovratemporali che riguardano il nucleo dell’uomo più recondito, quello vero e incalcolabile. Se in una giostra infinita di affanni, fatiche, negazioni del piacere e accoglienza del triste senso di realtà, c’è ancora qualche discepolo di Dioniso, che conserva le reazioni primitive del cuore, allora quello è lo scrittore, o il poeta, o il pittore. L’artista quindi, sembra chiaro, non pensa, percepisce. Nella lotta infinita tra pensare e percepire, dove si scontrano gli antichi sistemi di Cartesio, di Kant o di Aristotele, ognuno dei quali cerco di capire la ragione universale, l’Io puro delle categorie, furono invero poco abili a capire quell’io empirico tanto denigrato dai filosofi, e delizia dei letterati. La filosofia, ponendosi come scienza universale, dedita a massime che devono superare la prova della applicazione universale (la ragion pratica di Kant), non è in grado di comprendere quella giostra veloce e infinitesima alla quale pone attenzione il poeta. Si capisce quando uno come Aristotele si mette a parlare delle donne e da buon maschilista qual’era dice che sono inferiori al sesso forte. Ma? Stando seduto nella sua poltrona e componendo con saggezza i suoi mille sillogismi presenti nei primi analitici e nei secondi, dimenticò cosa gli succedeva intorno, la vista come l’udito e i profumi sono più veloci e furbi di Barbara Celarent. Torniamo agli esempi significativi della letteratura estetica e torniamo a quello che per me è stato il ritratto più interessante dell’esteta. Superando D’annunzio e il Dorian Gray famigerato, non si potevano evitar parlando di arte e di bellezza, approdiamo al mio Tonio Kroeger. Questo racconto, insieme alla morte a Venezia a Tristano completa la visione personale dello scrittore tedesco riguardo alla figura dell’artista. La morte a Venezia, parla, come tutti sappiamo dato che abbiamo visto il film di Luchino Visconti, di un artista che combatte tra la vita e la scienza della parola. Fa un viaggio perché non ne può più della sua vita statica e priva di vita percettiva, va a Venezia, alla fine si innamora di Taddeo, un giovane dal viso angelico, si scopre pederasta poi muore per un epidemia virale che colpisce tutta la sua Venezia. Tralasciamo Tristano e partiamo dal concetto essenziale della morte a venezia, il contrasto tra la vita dello scrittoio (pensiamo anche a Flaubert) e la giostra cui ho fatto riferimento sopra; Il protagonista del racconto è uno scrittore, nel film è un musicista, fa lo stesso, è uno scrittore che decide di assecondare la sua giostra di sensazioni (quella stessa che descrisse Simone de Beuvoire nella viellesse) e intraprendere un viaggio, per la sua anima e per le sue idee. Le idee dell’artista devono correre velocemente, essere come il Nietszche migliore, in linea con la vita. A partire da questo spunto mi dirigo verso il Tonio protagonista di questo mirabile racconto. Notiamo che è combattuto tra una vita normale, borghese, quelle delle quadriglie, e dei suoi perfettamente adeguati compagni di classe, e quella estetica. Riportare interamente i corposi passi del racconto sarebbe poco producente, vi invito alla lettura, da prendere come una Bibbia della storia artistica. C’è chi in secoli passati fece lo stesso con Controcorrente di Huysmans. Il contrasto essenziale di questo racconto è quello tra una vocazione ad una vita diversa, fatta di vestiario elegante che copra un nucleo non del tutto formato, e una vita borghese è messo in scena nelle complicate argomentazioni del protagonista che tra un viaggio e l’altro (come il protagonista autobiografico di Controcorrente) si confessa a stesso e ad una vecchia amica come uomo per il quale un destino preciso non è scritto. Di certo non un professore, il contrasto tra materia e forma sarebbe eccessivo, non sicuramente un villano. Eppure, come il titolo di questo articolo lascia pensare, è proprio, citando Claudio Lolli, la felicità degli zingari del carrozzone verde ad attirare il giovane Kroger. Sin da infante, quando tra i voti non troppo alti della scuola e i romanzi divorati di nascosto, egli è attirato dalla vita nomade, dai boemi. Bohemien vuol dire proprio questo, zingaro. Quando ci dicono, “sei elegante come un bohemien” dicono ” sei come uno zingaro”. L’artista è così, non è sostanzialmente nulla, si limita a guadare come il flaneur cantato da Baudelaire. La cosa che mi ha più colpito di questo racconto è proprio la furba rappresentazione delle passioni comuni a chi ha una vocazione ultra borghese. il fatto che come i ragazzi cattivi di Ivano Fossati, egli, Tonio, preferiva le amicizie non proprio affidabili ai bonari. Oppure il fatto che spende pagine densissime di altezze poetiche per giustificare che l’artista deve porsi vestito bene per nascondere la sua malasorte interiore. Leggetelo, se riuscirete a capirlo nel suo attualissimo messaggio, vi porrete nella dimensione ultraterrena dell’arte e dei suoi privilegiati discepoli.
Una riflessione di Giovanni Sacchitelli