La sfinge
La sfinge è il titolo di un racconto di Edgar Allan Poe (o semplicemente Edgar Poe, come recitava l’autore de L mal de’ fiori, Carmelo Bene) in esso si tratta di un individuo vittima filosoficamente di un paradosso percettivo, che fa si che egli veda una minuscola sfinge (un insetto grande massimo due pollici e mezzo) grande come una nave da crociera; dopo essersi ritirato in campagna con i timpani ottusi dalle trombe degli incalzanti annunci di morte solitario nella sua comoda sedia ottocentesca, come uno stampo della migliore Virginia Woolf in meditazione (un lavoro intenso quello della scrittura, tanto da programmare quel fuggente attimo di piacere del gusto delle lettere in un piacere forzato e scientifico, leggendo una pagina del diario si legge ricavare il massimo piacere possibile dalla lettura di romanzi, come l’Ulisse di Joyce o opere dell’antica Grecia) – assiste al passaggio di un enorme essere dalle fattezze specifiche di un mostro. L’accanito lettore, immediatamente strappato dal suo volume, mentre era in contemplazione di quel riposante paesaggio rurale (del resto chi, come in tanti altri racconti brevi di Poe, non è il protagonista se non lo scrittore stesso?, non era Poe quello che enunciò le quattro condizioni della vita felice? vita all’aria aperta, l’amore di una donna, la mancanza di ambizione, inseguire il vero bello) viene scosso da questa visione mostruosa tanto da dubitare sulla differenza tra sogno e veglia e sul fatto che fosse diventato pazzo, a corrergli in aiuto e a rinsavirlo è proprio il suo compagno di avventura mistica (come quell’amico di un racconto di Guy de Maupassant, nella prima parte del conte si narra di una coppia di amici uniti in un tutt’uno alla maniera di Montaigne in un laccio di passioni in comune, letture degli autori preferiti fino a notte fonda, entusiasmo condiviso, poi sedato dal successivo matrimonio di uno dei due compagni) che prendendo dalla libreria polverosa di quel rifugio in campagna un tomo di storia naturale, di quello a uso per le scuole, riporta a voce la descrizione di una sfinge, che come l’esemplare frutto di un paradosso della percezione, ha sul petto una testa di morto, sua caratteristica, con tutto ciò riportando alla coscienza l’errore dell’amico parlando di filosofia positiva, nel senso di una fede in ciò che soltanto si dà positivamente ai sensi, evitando le credenze nel sovrannaturale (tematica tanto cara a Poe, snodandosi da se stessa in varie accezioni ne Eleonora, L’isola della fata, Il silenzio, il grottesco di Perdita di fiato, Re Peste, o il mesmerismo di Racconto delle Ragged Mountains, in tutti questi brevi racconti, che rispettano perfettamente quell’unità di interesse che caratterizza la vera letteratura, vedi ad esempio nei miei precedenti articoli Perchè scrivere racconti brevi, tenendo gli avventori vicino al frutto candito del senso, senza che si sfianchino inutilmente nelle storie russe piene di nomi mutevoli di un Dostoevskij o di un Puskin, comunicando in breve ciò che rappresenta un tema universalmente, sia esso l’amore degli occhi meccanici e inespressivi di Eleonora, un amore che ricorda un po’ lo stile della Sylvie di Nerval, l’amore per Eleonora, proiezione delle volontà amorose dello stesso Poe, che si faceva strada nei prati multicolore, tutto si sviluppa subito nell’arco teso di quattro pagine, una mancanza autentica di romanticismo, un richiamo lontano ed esile, che termina con il tradimento della defunta con un’altra donna dal titolo strano, poi in sogno Eleonora maledice il suo vecchio amante riportandolo tra le sue mani, termina la brevissima storia di un paragrafo con la nuova amante in un sillogistico finale freddo e antiemotivo, come se l’amore fosse uno scambio preciso di messaggi, un algoritmo che avrebbe dovuto garantire un legame a tempo indeterminato, non è così certamente che si forma un sentimento, soprattutto in virtù dello iato incolmabile tra due teste in amore, i loro desideri specchio dell’immagine perfetta che crea un amante del suo prezioso forziere; per Poe, sempre a mio parere, forse anche a detta di Baudelaire, che tra i suoi scarsi risultati alla facoltà di Giurisprudenza, frutto della capacità ridotta di lavoro, elesse l’autore inglese a suo modello di Genio, traducendolo e rispettandolo; il gusto per il sovrannaturale o per gli stati alterati di coscienza, si narra di un Poe quasi sempre stordito o ubriaco, dal carattere instabile, preso spesso nella morsa dei creditori, non poteva un personaggio come Poe non interessare il breve Baudelaire. Perché uso questo aggettivo? Se è vero che come disse Buffon che lo stile è l’uomo, ciò che è frutto della nostra particolare limitatezza lo rivediamo nelle nostre azioni rivolte ad un fine, Baudelaire è breve, sia perché era stretto d’anima, era timido, oratore mediocre durante le pubbliche conferenze tremava come una foglia vittima di quello spleen francese o degli occhi pieni di pensieri irriguardosi nei suoi confronti, ma è breve anche perché la verità è breve, sono poche le cose da dire in fin dei conti. I racconti di Poe sono un concentrato di tutto ciò che un enciclopedia del sapere potrebbe sfornare. Non c’è bisogno di fare come l’autodidatta della Nausea, che è visto dal solitario Roquentin come un esempio della sterilità del sapere umano, apprendere tutto in maniera ordinata, come se poi ci fosse effettivamente un prima e un dopo. Facendosi convincere troppo facilmente dalla sicurezza dei manuali e dal fatto le lettere sono unite da un ferro solenne e immortale. Le verità universali sono poche e ad enunciarle devono essere i maestri dell’imperfezione, i poeti. I racconti di Poe pur essendo spesso opera di una coscienza alterata, un problema grave per tutta la filosofia precedente, come si può imbrattare il cogito dunque esisto cartestiano con una molteplicità psicologica che non è data una volta per tutte. In un passo qualunque delle meditazioni metafisiche possiamo mettere un allegro fumatore d’oppio e vediamo che se pensiamo storditi esistiamo lo stesso, ma ci dimentichiamo probabilmente di Dio. Così allora l’invenzione dei Paradisi Arificiali, chissà oggi che è primo Maggio quanti sinistroidi abiteranno le loro regioni celesti fatte di birre a poco prezzo, e il fatto che la coscienza può assumere diversi nomi, se il padre è l’assenzio o l’oppio o la malattia mentale. Poe interessava a Baudelaire proprio per questa scelta di focalizzare l’attenzione sulle poche verità enunciabili e sugli stati di coscienza alterati, oltre ovviamente ai debiti. Eleonora inizia così “Dicono che sono pazzo ma non è forse la malattia […] a spese dell’intelletto in generale […] ” ecc…, questa frase di Poe sta su tutte le bocche dei tipi oscuri, o almeno voglio diventare tali, la differenza da Poe era che lui era davvero strambo, noi invece possiamo solo ascoltare i suoi ghirigori poetici, imitando il timbro, per poi nel secondo passo de l’estralocalità (Bachtin, da L’autore e l’eroe) e tornare in noi stessi, ci vuole fegato ad essere così pazzi; Poe era definito Pazzo, per le sue maniere e per i suoi pensieri, nemmeno io lo capisco nelle sue assurde trovate narrative. Le verità universali insomma sono poche da enunciare, come breviario ci basterebbero tutti i racconti di poe e qualche saggio di Baudelaire, chi tenta il contrario cade in una prolissità o cattiva infinità (Bachtin) che non fa altro che trovare scuse all’essenza delle cose. Per certi versi anche Kafka può entrare nel novero dei pensatori brevi o efficaci. Nei quaderni in ottavo, sono inserite svariate massime sul peccato, sulla virtù, sul senso del matrimonio, sul male (male è tutto ciò che svia) Kafka, come prosatore o pensatore, ha riconosciuto il valore del pensare in breve e ha ben pensato di creare questa raccolta di aforismi efficaci, dalla forma anche letteraria o dei racconti brevi come L’avvocato Bucefalo, un modo di caratterizzare le verità universali simile a Poe o Baudelaire, rispetto a questi due ultimi tuttavia c’è una minuscola apertura al comico e al colore emotivo, rintracciabile ad esempio nelle Lettera a Milena. Tornando a Poe e alle sue verità brevi in generale, questo era dovuto sicuramente alla sua formazione multiforme, presenti numerosi richiami alla scienza, la frenologia, o più semplicemente la scienza psichiatria. La forma d’espressione dei contenuti è molto matematica, si direbbe che, ad onta della sua vocazione letteraria, sia pure breve, fosse un filosofo metafisico a parlare. Voi direte questo dipende dalla traduzione, dall’alchimia del traduttore, ma sono convinto che Poe parlasse davvero così. In perdita di fiato, il protagonista nel bel mezzo di una conversazione con la moglie megera (l’uso di questo termine fa capire il suo maschilismo sepolto che spiega anche la scarsa capacità di espressione poetica di Eleonora o di L’isola della fata, o anche delle stesse poesie; perché l’amore è sempre legato alla morte e all’annullamento?, tentativo cosciente di trasformare quella volontà inconscia di sbarazzarsi della moglie bugiarda e dedicarsi alla comprensione calma delle verità della vità come il protagonista di La sfinge, non a caso si fa riferimento sempre a compagni di gioco maschi, così anche l’elogio del protagonista di Racconto dell Ragged Mountanis) Nel bel mezzo di una conversazione con la consorte il protagonista perde il fiato, si chiede come sia possibile? Il suo salto logico va immediatamente alla scienza e non alla percezione, la moglie non viene più citata poi, c’è soltanto il protagonista che fa riferimento a teorie mediche o filosofiche, allora finge di recitare un passo dell’Opera (altro particolare maschilista, prima di andare a letto legge l’opera evitando il contagio con la moglie, omosessualità latente?) così da evitare sempre razionalmente e non con il buon senso che dovrebbe avere ogni amante di buon cuore che si rispetti (se no perché scrivi una poesia come Evening Star?) così facendo evita la discussione con la moglie, imbarazzato da buon omosessuale latente del nuovo stato di fiato assente. Dopo questo seguono vari episodi macabri in cui per la mancanza di fiato viene preso a pugni mentre è in treno alla ricerca di una risposta al suo male, così cadendo subisce una frattura interessante e curiosa al cranio (se ha usato il termine cranio e non testa, c’è un motivo, dietro la sua vocazione letteraria c’è sempre il gelo dei trattati scientifici) viene poi soccorso da un chirurgo e da un farmacista, per accertarsi che sia vivo il chirurgo procede al taglio di entrambe le orecchie, il farmacista asporta alcune viscere, si accorgono che per il dolore il novello paziente emette degli spasmi, attribuiscono il tutto ad un nuovo uso delle batterie galvaniche. Perché sempre questo salto dal particolare all’universale? Perché caro Poe non puoi guardare l’empiria e non il dito a dispetto di una luna splendente come facevano gli aristotelici? Riferimento a Galvani, alle sue rane, all’uso dell’energia elettrica per rianimare i nervi ancora tesi dei cadaveri, tutta scienza, poca base letteraria. Un altra testimonianza dell’omosessualità latente potrebbe essere il fatto che anziché comunicare al medico e al farmacista la sua volontà di fuggire, si lamenta per non aver preso parte alla conversazione di carattere scientifico, perché preso dalla bellezza dei loro argomenti. La moglie oramai è dimenticata, può essere o morta oppure ostacolo da superare per poi tornare su se medesimo, e sulle passioni oggettive e universali. Dopo aver vinto la resistenza di due gatti che lottavano per spartirsi il suo naso riesce a fuggire, ma proprio mentre cade dalla finestra si ritrova sul carro di morte di un condannato, la somiglianza poi è palese, viene condannato a morte, la sua testa che cade (descrizione piena di particolari puramente scientifici) provocando attacchi di isteria in alcune donne, quel che sorprende è che questi attacchi sono immediati, come se si volesse dire che l’isteria femminile non ha cause specifiche, le donne sono irritabili e suscettibili così e basta. Altro dettaglio maschilista. Dopo essere morto si ritrova in un sarcofago a fianco a varie figure umane, delle quali si riporta una descrizione grottesca, fino a trovarsi faccia a faccia con il suo vicino di casa che gli ha rubato il fiato, poi non si capisce se essendo divenuto di proprietà sua lui abbia a sua volta attacchi epilettici e venga preso per morto. Lo sfondo scientifico o filosofico, a testa di un racconto c’è non a caso una citazione da Raimondo Lullo, oltre a quello della sfinge, di cui si parla chiaramente di un paradosso della percezione, dovuto al fatto che l’insetto sfinge era vicinissimo all’osservatore, tanto da vedere un minuscolo essere grande come una nave da crociera, la sfinge riporta il tema dell’osservazione, il richiamo filosofico, oltre a quelle delle parole del compagno del protagonista è quello al tema dell’0sservazione priva di pregiudizio teorico, come è il caso della celebre anatra coniglio di Wittgenstein oppure quando guardiamo il sole sorgere ogni giorno montiamo questa percezione con l’aspettativa teorica che anche domani sarà così, pur non essendoci nessuna garanzia logica. Kant fa riferimento a quel tipo di illusione, l’illusione aristotelica, che ci prende quando siamo convinti che la luna ci segua. Le altre basi scientifiche e filosofiche del Racconto delle ragged mountanis, sono quelle tipicamente mediche della cura delle nevrosi, a base di morfina senza la quale al protagonista era impossibile vivere, il tema del magnetismo animale che aveva permesso la cura del paziente dal suo medico di fiducia, e anche il tema puramente morale della giustezza o no della nevrosi. La malinconia è o no qualcosa che ci serve? La malinconia va per forza abbattuta o invece può essere fonte di nuove visioni sul mondo? Quando diamo la pillolina ai malati di mente lo facciamo perché è necessaria la pulizia della coscienza? Davvero, com’è successo recentemente nei fatti di cronaca, dobbiamo prendere un malato che abita tranquillamente una panchina senza disturbare nessuno tanto da guadagnarsi l’appellativo di gigante buono, e portarlo verso un t.s.o. e in caso contrario ucciderlo se pone resistenza? Giustamente, cosa fa di male? a chi da fastidio? Il protagonista del racconto delle Ragged mountains è un tipo interessante, sia fisicamente, che moralmente, oggetto di interesse circa la sua origine ignota, è tendente all’entusiasmo e al temperamento nervoso ed eccessivo. Sorprende perché ha un corpo lungo e sfinito da quelle sue crisi nervose, tanto da ricorrere al parere di un medico ottocentesco. Il tema è quello dell’utile o meno di quelle sensazioni, per quanto mi riguarda egli è combattuto tra la bonarietà dei suoi stati di esaltazione e la necessità borghese di un’apparenza calma e composta; per questo motivo andando contro se stesso, il fatto solo che chiami crisi nervose, qualcosa che critico non è, è forse critica la gioia? ci fa capire che in quel racconto come oggi l’entusiasmo è visto come stato interno da abbattere per fare spazio alla calma inespressiva borghese. In Re peste, oltre al tema macabro del contagio del male virale, prendendoci gusto nella descrizione degli individui sfigurati dal virus, per incapacità di vincere il gusto per i vini, c’è ancora il tema scientifico oltre a quello culturale dell’importanza del basso-materiale (Bachtin), è il tema anatomico dei volti modicati dalla tisi, dalla gotta. In un’atmosfera fetida c’è un consesso di nobili (tutti gli occupanti i trespoli si chiamano Re peste – Re super-peste – Regina impestata ecc…) bevono dentro dei cranii, ancora riferimento alla scienza, e affrontano con stile tipicamente aristocratico i due visitatori annebbiati dai fumi dell’alchool. La verità universale dello stato di alterazione della coscienza che ci porta anche a visitare luoghi malsani e pericolosi, un modus essendi molto comune nell’uomo; il tema Rabelaisiano dell’importanza del basso-materiale corporeo, in questo caso il gusto del vino è anche presente, nella forma anche della detronizzazione dell’alta aristocrazia nelle vesti di poveri malati di peste. Per concludere, faccio riferimento al Il silenzio, come classico tema dell’alterazione della coscienza sfociante nel sogno e nella figura dell’uomo di cultura e di genio, che per ritrarsi dal baccano borghese sceglie un’esistenza ascetica e di calma interiore. Un altro autore che ho frequentato in questi giorni è colui che ebbe l’onore della dedica dei fiori del male, T. Gautier. In esso ho sperimentato il gusto romantico della rottura degli ordini del linguaggio e del dialogo, come ad esempio il chiaramente Rabelaisiano, L’orgia sfrenata, in cui oltre agli accenni a quelle iperboli descrittive tipiche del Gargantua abbiamo un gioco romantico di enunciazione e ripetizione del contenuto di quest ultima in altre accezioni, del tutto fuori luogo e creanti soltanto confusione e vitalità. Il racconto come la confraternita de la Boheme Henri Murger, finirà con i protagonisti oggetto di una denuncia dei vicini borghesi (il droghiere o la donna di casa che viene risvegliata dalla sua tiepida lettura proprio mentre metteva un orecchietta al suo bel libro). In vocazione, quelle teste di borghesi vengono imbrogliate con uno scarso studente di giurisprudenza che diventerà un famoso pittore. Per ricollegarmi a Poe, Due attori per un ruolo, è la storia tra un eccellente attore e una artificiale amante tedesca che risponde perfettamente, come in Eleonora, ai teoremi d’amore d’amante. L’uomo medioevo, altro non è che la descrizione di Gautier del perfetto romantico, chiuso nel suo mondo lontano dalla borghesia meschina nella sua cattedrale di armature e libri antichi, fallirà come il protagonista di Controcorrente, venendo fulminato nel mentre abbelliva la sua cattedrale in miniatura.
Una riflessione di Giovanni Sacchitelli