Se state cercando una biografia puntuale di Salvatore Antonio Gaetano, per tutti Rino, questo non è il libro che fa per voi. Se anche state cercando i nomi e cognomi di tutte le donne con cui è stato, i vizi, i pettegolezzi, le notti brave, questo non è il libro che fa per voi. Perché Stefano Micocci e Carlotta Ercolino hanno scelto di raccontare in maniera delicatissima e romanzata i sette magnifici anni d’artista di successo di colui che è stato e per sempre sarà il figlio unico della canzone italiana. Questo romanzo sceneggiato, infatti, non racconta la biografia ufficiale di Rino, ma l’anima meravigliosa di questo personaggio fragile e nello stesso tempo vincente.

Rino non è il solo protagonista di questa sentita e profumata coreografia: nel libro c’è soprattutto la storia del rapporto col suo mentore Vincenzo Micocci, che ci accompagna  dall’inizio alla fine con la sua voce paterna, i suoi consigli, la sua forza coraggiosa e sovversiva, il suo mix di lucida e rischiosa incoscienza. Vincenzo è colui il quale ha favorito, modellato, sviluppato la parte creativa, il genio artistico di Rino Gaetano, la cui storia, almeno apparentemente, è ancora quella di un mito predestinato.

Altra protagonista del romanzo è la it, breve ma grande sigla, da sempre nata e cresciuta in minuscolo, un’etichetta che ha fatto scuola facendo debuttare e curando artisti come Luigi Tenco, Giorgio Gaber, Wilma Goich e Catherine Spaak, Mia Martini ed Edoardo Bennato, Antonello Venditti, Francesco de Gregori e Ron.

Questi giovani culturalmente diversi dalla maggioranza degli artisti della musica italiana degli anni settanta furono “tradotti” dalla it in un prodotto di successo, diventando pian piano un fenomeno forte non soltanto dal punto di vista comunicativo, ma automaticamente anche politico, così che di musica iniziarono a parlare anche i grandi quotidiani e le riviste politicizzate e di conseguenza anche la politica di mestiere.

In questo contesto nasce e cresce la figura di Rino e il suo blues struggente che sa rimanere immobile cantando tutta la gioia e la tristezza del mondo. Morendo prematuramente in un incidente d’auto, Rino Gaetano tira giù una saracinesca sul decennio dei settanta così come Fred Buscaglione aveva chiuso quello degli anni cinquanta con un analogo violento finale.

Questo romanzo vuole essere una scusa per delineare i tratti di un carattere complesso, per rivivere il senso della storia di un cantante unico nel paesaggio italiano, nel momento del distacco. È il più realistico dei racconti, quasi a dire che la verità possa esistere solo nei romanzi. E questo è il romanzo di quei sette anni, gli anni della creatività vissuti con ardore, con tutto se stesso e qualche volta anche contro se stesso. Gli anni della speranza, del sogno del riscatto per sé e per la sua famiglia. Rino ha un’interiorità complessa e geniale, spesso timida e contraddittoria, pur esibendo un’immagine pubblica provocatoria e vincente. Un ragazzo italiano che ha un’arte ma per il quale, nella società di quegli anni non è prevista una parte.

Come dice Pasquale Panella nell’introduzione del libro: “questo canto del Tempo ha così poco tempo che, per ingannare se stesso, si ripete e ricomincia a cantare ovvero a finire”.

Cristina Carlà

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*