I buchi neri
Saltellando sulla scacchiera del mondo di tanto in tanto perdo l’equilibrio perché s’inclina. Come da bambina nei castelli con i mostri di plastica. Quelli delle fiere. Trema il pavimento, luci sinistre e Munch in loop. Poi si scivolava dal tubo e via. Fuori. Gruppi elettrogeni e zucchero filato. E dicevamo ancora, ma avevamo un biglietto e un tour. Solo questo e ci bastava. Lo sapevamo che era tutto finto, a parte il rullo che girava e ci dovevamo mettere di lato e fare piccoli piccoli: quello era vero. Anche l’uscita di emergenza era vera. Non è poi così diverso ora. Sulla scacchiera. Ci sono i fantasmi di cotone e le maschere e le bugie. I rulli veri che ti schiacciano. Solo le uscite di emergenza non le hanno inventate. Nel gioco del mondo che pende da un lato e dall’altro. S’impara così a spostare il peso e gli assi vestibolari. Che non esistono più sopra sotto destra sinistra avanti dietro. In certi momenti è davvero difficile orientarsi tra i bianchi e i neri. Specie quando si abbracciano nel grigio e le punte dei piedi diventano lontanissime. Certi neri poi sono pericolosissimi. Non hanno il pavimento: sono buchi vuoti. Per questo ti trovi con le unghia spezzate per tornare sul tavoliere e qualcuno ti dice che non puoi presentarti a lavoro così: spettinato, con le pupille a spillo e le unghia rotte. E tu fai il sorriso più cattivo dell’universo, però poi comunque dici agli altri di non prendere certe strade, così almeno loro non cadono e non vengono licenziati. Così potremo tutti insieme odiare il lunedì, le tasse e lo stato. E farci le vacanze al mare, sparlare dei vicini. Cose così. Normali. Anche se qualcuno cadrà sempre nei buchi neri e vedrà cosa c’è sotto. Anche solo per un attimo. L’esercito dei distratti che per guardare il cielo ignora l’inciampo della terra. E questi soldati ti parleranno del bianco perché è più facile. Del lunedì e le tasse e lo stato. Dei trafori da ignorare. Sono le avanguardie di una consapevolezza che non ti farà dormire, gente che ci tiene al sonno degli altri per poter girare sola di notte. S’incontrano tutti nella dimensione X dove gli artisti vanno a morire di overdose. Poi il giorno dopo si svegliano con una canzone, una poesia. Qualcosa di bellissimo e inutile. Qualcosa che parla di me e di te e di tutti. Inchiodando in una forma la vita che scorre e non sappiamo dire. Pagando il prezzo di questo: ciò che si ferma muore. E lo prendono questi bastardi, lo fermano rendendolo e eterno, dandoti uno schiaffo improvviso. Ma muoiono un po’ facendolo. Loro, non la vita che amano. Egoisti e altruisti insieme, il vizio dell’oltre e la rabbia di sputarlo in faccia alla gente. La cortesia di non farci cadere, cadendo. E ritornando senza ruolo tra pedoni alfieri cavalli torri re e regine. Ma tanto non capiamo mai abbastanza, sopra o sotto il tavolo. A destra o a sinistra. Avanti o dietro. Saltello per questo da una mattonella all’altra e capisco di aver perso la forza di gravità. Perché se la scacchiera s’inclina, tutto lo fa intorno a me. E non cade. Poche cose cadono veramente come me e si rimettono in piedi con la stessa ferocia. L’unico assurdo appiglio è proprio il bordo di quei buchi neri. Dove finiremo altrimenti? Lasciandoci troppo andare. C’è un oltre che è più oltre dell’oltre. Ma forse da lì non si ritorna. E allora ci aggiustiamo le unghia, gli occhi e i capelli. Mettiamo la sveglia e i pantaloni sulla sedia. Fingendo di non essere stati dove siamo stati. Abbiamo imparato a vestirci di bianco. E ci sta pure bene. Il bianco.
Delia Cardinale