a Rosy Rizzato

Grazie

          OGGI. Ogni paese ha il suo pagliaccio e tu sei il nostro prediletto sulla piazza di fronte alla chiesa. Lì dove i piccioni aspettano di beccare briciole di dignità sputate qua e là dalla gente come me. Lo potete trovare lì dall’alba al tramonto, amici miei, coi capelli lunghi e arruffati fino alle spalle, neri e grassi di sebo. Ogni tanto qualche filo bianco curva la sua lucidità disordinata, come la verità che gli sfugge e si confonde e non si vede neppure ma c’è. Come un nocciolo in bocca mentre parla di ieri con la barba imbevuta di saliva e cupidigia. Tra i denti consumati dagli eccessi della bugia che corrode, giustamente, ogni radice e smalto d’avorio bianco. Ha addosso un paio di pantaloni di fustagno marroni tenuti in vita da una corda sfilacciata. I suoi pensieri. Come tasche bucate da cui gocciolano bolle di giustificazioni e fatti e nomi fantastici. Divisi e incoerenti. Giù fino a bagnarsi le punte degli alluci e tin. Tin. Tin. Sui suoi piedi sporchi e sudici in ciabatte di plastica blu. Segnate dal sudore e dal fango di tutta la strada che non ha fatto.

          La barba ispida gli incornicia la bocca secca dei falsari di cuore, di quelli che invidiano chi sa amare veramente, ingenui dagli occhi di zucchero. Il male ci invidia, sapete? Perché noi siamo buoni con noi stessi e ci amiamo e non impazziamo. Lui invece si. Sulla piazza di fronte alla chiesa lo potete trovare dall’alba al tramonto, mentre mitraglia nomi e fatti che non sono mai esistiti. Se non nella sua mente di delirio e fantasia. E lui ci crede. Solo lui e la schizofrenica voglia di eliminare chi lo ama. Catatonico in mezzo alla piazza assolata a parlare parlare parlare con gli occhi sinceri di un pazzo che non sa di esserlo, e cercare cercare cercare con lo sguardo la compassione di quella donna che sta passando ora di là con in mano le buste della spesa.

          -Tesoro mio credimi, stavo aspettando solo te! Credimi. Ieri sono stato in piscina e ti ho pensato tanto mentre mi masturbavo di fronte agli altri. Poi son tornato a casa ma si è rotta la frizione per cui scusami ma per il tuo compleanno penso che non ti chiamerò. Non mi abbandonare però. Che ti voglio succhiare quell’ingenuità che hai nascosto tra i fagiolini e il petto di pollo. Resta con me, ho fame e sete di desideri mai appagati, tesoro mio!

La donna lo guarda, dritta negli occhi con la pietà di chi sa e sorride, sorride perché in fondo lo sappiamo tutti, è un pazzo fallito. Lo scemo del villaggio. L’unico condannato a credere alle sue stesse creazioni allucinate e malate. Una vita a invocare uno schizzo di verità che non è mai la stessa. Inchiodato alle bugie nere, vere però, per lui soltanto. Credere. Credere. La capacità di credere che il finto sia vero e viceversa. Dove sta il tappeto magico sotto cui ho nascosto la verità? Schizofrenia. Schizofrenia è la mia maledizione. Rannicchiato in un autismo umido ad invocare in silenzio la fiducia fredda e inaccessibile chi non crede più. Allo scemo del villaggio. Una vita sulla piazza di fronte alla chiesa. A blaterare la giustizia a chi in fondo non l’ha mai chiesta. Non ci importa, capito? Nessuno ti ha chiesto nulla ma stai tranquillo, ti vogliamo bene lo stesso. Scemo del villaggio. Come hai detto che ti chiami?

 

          DOMANI. Sulla ruota del tuo samsara ti guarderò guastare e riderò. Perdere pezzi di pelle come fossi un lebbroso. Mentre vampiri assetati ti succhieranno le iridi verdi risputandotele sui denti. Ti spruzzerò addosso una giara intera di bellezza cronica e velenosa, il profumo dolce dell’amore ingannatore e poi li chiamerò. Tutti. Spettinati e assetati di te. Ripetendo a voce alta il tuo pensiero come una litania rubata a una boccetta di insulina. La memoria. Arriva piano a piedi scalzi per non perdersi nulla di quello che vuole la terra e il legno. Bisogna ubbidire al bianco delle vesti amore mio, perciò non gridare quando strisceranno piano come serpenti, i muscoli hanno una memoria e non dimenticano. Neanche io dimentico. E lascerò spalancare il cuore e le narici quando ti accerchieranno assatanati con la bava alla bocca. Non mi guardare, non implorare aiuto. I vampiri hanno avuto il consenso, digrigneranno i denti e si muoveranno piano. Vestiti di bianco e coi capelli spettinati. Gli occhi pazzi insanguinati. Di te. E ti braccheranno le gambe di burro, te le baceranno a suon di morsi. Le tue gambe. Strappate come le bugie giurate guardandomi negli occhi. Come le iene su una carcassa già morta. Non gridare amore mio, che io da quassù saluto la mia vittima e il mio aguzzino.

 

          DOPODOMANI. La disperazione demente, la tua intelligenza di vetro ridotta in mille piccolissime schegge. Come uno specchio in fondo alla stanza condannato ad esser la droga di quelli come te. Inerme. In silenzio. Soltanto a riflettere la bellezza degli altri. Una vita intera senza cuore e senza nome, testa gambe braccia mani. Niente che non sia vero. Solo il riflesso di ogni anima che ti guarderà piangendo i suoi rimorsi. Prìncipi e orchi da imitare senza poter pensare niente. Ormai. Una vita a riflettere i pianti degli altri. Piangi allora, piangi e detergimi i sogni. Fino a morirne lavato via. Dall’amore degli altri. La nera mietitrice esiste, non temere, esiste e ti raggiungerà. Lieve come le mie maledizioni. E queste risate malefiche. Non lo riconosci? È il tuo amico fidatissimo che ci intrattiene con le tue storie, quello che credevi leale e con cui l’altro ieri hai riso di noi. Ma certo, davvero pensavi che uno come te potesse credere e amare come diciamo noi, in modo incondizionato? Lo scemo del villaggio. Ahahahahhahahahahahh. Ahahhhahahahahaah. Ahahahahahahhaahha.

Cristina Carlà

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SULLA RUOTA DEL TUO SAMSARA diCRISTINA CARLA’ è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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