Come diventare cattivi
In giro per la città come accadeva di solito, tempo fa. I due passi, le commissioni, l’amica da accompagnare in stazione. Quei suoi occhi d’ottone liquido che sapevano accendersi di bianco: lenzuola di Marsiglia spiegate all’improvviso. La mia piccola gazza ladra nella gabbia sotto lo sterno. Quegli schiocchi metallici di piacere e sempre qualcosa da mettersi in tasca e portare a casa. Anche quell’infinitesima speranza di annegare in altri occhi così simili, tanto amati. Ma non solo. C’era tutto un mondo e c’è ancora da qualche parte. Il cinematografo tutto intero dai fratelli Lumière a Xavier Dolan. E quello scodinzolare delle orecchie, i fremiti dell’agenda, cercando il tabacco con le dita e la bic nera sotto qualche cerniera. Un inchino della mente porifera quando intuisce un occhiolino dall’oblò di una nave carica di bellezza. Viviamo per le stive noi, non per le bandiere. Dopo l’apnea restavo con mia sorella a piazza Umberto. Una panchina di pietra, verde offeso e puzza di piscio. Stanche di qualcosa, come sempre quando ci troviamo così. Con i sacchetti di plastica ciondolanti per la città. E si avvicina un ragazzo con la maglia rossa.
“Sapete se c’è un pullman per Gravina che parte dalla stazione?”
Gli occhi puntati verso lo spiazzo dei pullman. Dubitando per l’ora tarda.
“Non lo so” io secca. Cattiva come chi vive in città da più di tre anni.
“Posso vedere su internet..se c’è…aspetta” Mia sorella. E smanetta sullo smartphone. Ero infastidita, aspettandomi una qualche richiesta di soldi. Ti abituano così: a guardarti le spalle sempre. Lui era davvero molto strano. Agitato. Poco più di vent’anni.
“No..non ci sono treni” lei calmissima.
“Forse qualche pullman…che arriva a Gravina..sono rimasto a piedi” si guarda le infradito. E noi siamo portate così a capire che era stato al mare. Chissà dove. Pane e Pomodoro? Assurdo: lo sanno tutti che c’è il divieto di balneazione. Non sempre. Ma non si va di solito: non ci va chi vive in città.
“Pullman si..alle 21 e 15” mia sorella e le sue capacità organizzative.
“Si ma non ho soldi” lui imbarazzato e io nello stesso istante stringo gli occhi. Dopo la milionesima truffa. Gente che chiede soldi sempre. Sempre. E mi puzza.
Lui chiede a mia sorella di fare una telefonata. Chiama il padre e parla un dialetto ai limiti del comprensibile. Il padre di tutta risposta gli chiude il telefono in faccia. Ringrazia, si scusa e va ad occupare una panchina vicino la nostra. La cosa mi mette a disagio e dico a mia sorella che è ora di tornare a casa: ne ho visti di teatrini. Gente che dice di essere in difficoltà e ti dispiace: tieni i tre euro per il treno. E poi te li ritrovi a bere birra al Chiringuito. E t’incazzi perché tu lavori, tu fai sacrifici, tu fai i conti. E tu, soprattutto, non chiederesti mai nulla a nessuno. A sconosciuti in particolare. Non ti hanno educata così. Per questo si diventa diffidenti: le bugie. Le bugie sono la secrezione più caustica che un essere umano può decidere. Ti abitui così a proteggerti da ogni cosa. Anche da una mano tesa.
Sul portone di casa, con i sacchetti di plastica sul ciglio dello strappo, arriva una telefonata a mia sorella. Una madre in lacrime preoccupata per il figlio che non era tornato a casa. E senti quella specie di rottura dentro. Un senso di colpa grande come l’Eurasia che ti rimpicciolisce e seppellisce e divora. Guardo mia sorella negli occhi e non c’è bisogno di parole. Torniamo a quella panchina. Ma lui non c’era più. Una serata intera a cercare un ragazzo con la maglia rossa e le infradito. Senza successo. Solo il giorno dopo abbiamo avuto la conferma del suo rientro a casa. Una madre sollevata dopo l’insonnia notturna. E noi a rigirarci tra le lenzuola pensando alla malafede che salva e uccide senz’avvisare. Certo ho avuto paura . Certo mi hanno spillato monete in tutti modi possibili. E dopo tutto questo, dopo la paura…come si fa a capire la verità? Come faccio a distinguere chi prende in giro da chi ha bisogno?
“Grazie per quello che avete fatto” una donna che non incontreremo mai. Che avrebbe potuto rivedere il figlio molto tempo prima. Se solo…se solo non fosse così difficile capire.
“Gliel’avrei dati i soldi per i pullman…”sussurra mia sorella, prima di girarsi dall’altro lato. E io ho sgranato il rosario dei pensieri. Perché sono diventata così? Perché qualcuno mi ha fatto spaventare? Tu perché mi hai seguito fino a costringermi a correre e restare senza fiato? E tu perché mi hai detto la bugia del treno? Tu, ancora, perché mi hai detto che in una casa abbandonata c’erano dei gattini? Perché?
Sono diventata cattiva.
Avrei voluto dire a mia sorella “anch’io”. Solo questo. Se solo avessi saputo. Se solo non avessi avuto paura. E mi ritrovo ad affilare lame e caricare rivoltelle. Invece di innaffiare piante e prendermi cura di qualcosa. Come me, credo, tante persone. Strato dopo strato, barriera dopo barriera…cosa succede? Si resta soli. Sto cercando un’alternativa…ho così tanto da dare. Da ricevere. Da vivere. E come si fa? Forse l’ho dimenticato.
Delia Cardinale