Il vocabolario sottobraccio
La città è un caos.
Macchine strombazzanti, motorini gorgoglianti, motociclette roboanti, autobus sbuffanti. Fischio di freni, luci lampeggianti, fari abbaglianti e irrequieti. La mimesi meccanica di umani al volante regna sovrana. Gente indaffarata e per lo più in ritardo, altrimenti a spasso, blatera al telefono o con altri passeggeri. Alcuni sono persi in mille preoccupazioni, altri contemplano castelli di pensieri. Vanno, vengono. Affollano la strada, intasano i semafori, percorrono la città.
La strada è il palcoscenico di questa messinscena rintronante. Palazzi, marciapiedi, parchetti, piste ciclabili abbandonate e file di alberi inaiuolati fanno da scenografia alla vita urbana che si muove al doppio del consentito.
Ma a ben guardare, quel palcoscenico bituminato riesce a rivelare attimi di pura bellezza: natura umana allo stato brado, nel mezzo del vivere civile.
Durante l’inverno poco prima del tramonto, quando il sole annacqua il suo rossore nella tempera del cielo imbrunito e l’aria più sottile solletica la mucosa pituitaria, può capitare di scorgere figure ambulanti dall’incerta andatura. Poiché mescolati al brulicante sottobosco cittadino è difficile, il più delle volte, riuscire ad accorgersi di loro. Tuttavia a riconoscerli ci soccorre la scienza, poiché la tassonomia deambulatoria di questi umani ancora non pienamente sviluppati è pressoché completa.
Ci sono i sicuri e quelli svelti; i dinoccolati e i saltellanti. Quelli lenti. Ci sono gli zig-zaganti, e quelli in linea retta a ogni costo. Ci sono gli erratici, che perdono il filo del percorso a ogni piè sospinto e ci sono i determinati, che bisogna arrivare dove bisogna andare nel tempo stabilito. Si muovo solitari, con auricolari e cellulari, o in piccoli branchi gracidanti. All’andamento non corrisponde un preciso aspetto poiché la Natura non ha posto precise concordanze, come nel caso dei canidi e dei loro padroni. La scienza dunque non può aiutarci, ma un occhio attento può riconoscere svariati esemplari: spilungoni e capelloni; corticini ma equilibrati o rotondi e paffutelli; magri e bellocci; poco curati e sciatteruoli; elegantissimi e truccati (gli esemplari di sesso femminile); ordinati e impeccabili; sportivi e disinvolti; quelli in tuta quelli in jeans, in pantapalazzo o taglio sartoriale. Capelli corti, lunghi, molto lunghi, molto corti. Biondi, castani, rossi, neri, verdi, blu, rosa. Poiché deambulanti necessitano di scarpe ma a tal proposito è difficile redigerne un elenco (le mie preferite rimangono le scarpe da ginnastica, con gomma bianca).
Un sottoinsieme umano dalle forme più disparate, semplici, complesse e diversissime tra loro che tuttavia presentano un carattere distintivo e comune, sul quale l’attento osservatore potrebbe avere la fortuna di posare lo sguardo e, quindi, accorgersi di loro: il vocabolario sottobraccio.
Il vocabolario sottobraccio è la poesia tradotta in carta del peso specifico di 2,3 kg ca. appioppata agli inconsapevoli studenti delle scuole superiori; e sono proprio loro, a discapito della media in greco o latino, che salveranno il mondo.
Metamorfosi in potenza di vite in divenire, se ne vanno in giro per la strada consumando i marciapiedi. Gli alti palazzi e i viali alberati si stringono e si chinano a guardare mentre superano incroci funambolando sulle strisce pedonali, portandosi addosso tutto il peso (non richiesto) della conoscenza, la difficoltà di una lingua (detta) morta e la bellezza inconsapevole di una vita da costruire e un carretto di sogni da realizzare. Loro non lo sanno, ma lo capiranno, che in quelle pagine fitte di parole ci stanno dentro i loro pianti già versati, i baci già schioccati, le lingue sciolte nelle bocche; gli amori traditi e quelli negati. Il riso, la gioia, la bellezza. La diversità, la difficoltà; il mare profondo del colore del vino, la notte d’amore aspettando aurora dalle dita rosate. Tutta la bellezza della vita racchiusa in pagine di sottile inchiostro. I luoghi che visiteranno, lo spazio che percorreranno, il tempo che vivranno. C’è il seme di quello che saranno se saranno disposti ad ascoltare, c’è il ricordo di quello che i loro padri sono stati se avranno la fortuna di incontrare bravi maestri disposti a insegnare. C’è la vita che il passato ci ha donato.
I ragazzi con il vocabolario sottobraccio, sono piccoli atomi in movimento, vita in divenire ancora slegata dal peso della società. Se ti capita di vederli, lungo un viale alberato, con la luce del sole nascosta a ponente e l’aria insolitamente calda di una sera di novembre, ti sentirai più sereno, scoprendo di voler bene a un buffo sconosciuto.