Con i sacchetti siamo arrivati alla frutta
Nell’isteria collettiva dell’indignazione pilotata dagli algoritmi di Facebook, ci siamo dimenticati che il sacchetto biodegradabile sarebbe il prezzo minimo da pagare per la pessima abitudine di comprare la frutta e la verdura dalla grande distribuzione, che sfrutta e spreme il lavoro dei dipendenti e degli agricoltori, e che ci riempie di imballaggi inutili: c’inonda di plastica superflua che, prima o poi, sfugge al nostro controllo, si va a tuffare in mare – indisciplinata come un bambino incurante alle raccomandazioni di non farsi il bagno dopo aver mangiato un quarto di focaccia – e va a formare continenti interi di rifiuti galleggianti nell’oceano.
Recentemente ho firmato e finanziato – sì: finanziato, nel senso che ho versato una quota a sostegno, e non di soli due centesimi – una petizione di Greenpeace, che mira a sensibilizzare i governi della UE a legiferare per disincentivare la produzione di imballaggi superflui.
Ma, del resto, siamo nel paese che ha stabilizzato l’abitudine folle di andare a comprare il bene che ha più facilmente a disposizione – quasi gratis – a casa: l’acqua potabile. Siamo nel paese che s’indigna periodicamente per i tentativi di privatizzare gli acquedotti, ma poi compie il gesto scellerato di alimentare una catena che consuma energia per l’imbottigliamento e gasolio per distribuire le bottiglie di acqua nei supermercati. E poi, ogni famiglia, consuma altro gasolio per andarsela a comprare, a volte mettendo anche a repentaglio la schiena per sollevare il peso dei fardelli. Tutto questo quando la si potrebbe avere, semplicemente, aprendo il rubinetto. A costo irrisorio e di qualità superiore.
Chi ci costringe a comprare la frutta e la verdura al supermercato? Chi ci costringe a metterla in quei sacchetti maledettamente inquinanti? Sarebbe così semplice e salutare – per l’ambiente e per il nostro organismo – un’inversione di rotta: tornare a comprare al mercato, portarsi dietro delle borse riutilizzabili. Meglio ancora: tornare a comprarla direttamente dal contadino, di cui ci fidiamo, bypassando una catena distributiva che mangia i suoi profitti costringendolo a massificare la produzione, a scapito di genuinità e qualità.
Sarebbe così semplice dedicare a pensare quel tempo che usiamo per indignarci cliccando su “condividi”.
Testo e fotografia di Manlio Ranieri
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