I ponti di Madison County
I ponti di Madison County è un film romantico del 1995 ambientato, per la maggior parte del tempo, nel 1967, tempo che si collega letterariamente, i figli di Francesca Johnson ricostruiscono la storia a partire da delle lettere che la loro madre gli ha lasciato, insieme all’eredità, a tempi più moderni, probabilmente gli anni novanta. Francesca (Maryl Streep), nel film, è una madre di famiglia che vive nell’Iowa, una regione degli Stati Uniti, in una calma residenza in campagna, all’interno di un’atmosfera che ricorda, sia all’esterno sia negli interni, la fotografia di Joel Meyerowitz; ed è questo uno dei pregi principali del film. La sua vita di domestica e governante procede meccanicamente, come un telaio ben oleato, senza difetti di produzione ed esatto nel risultato finale. Cresce i suoi figli, ne lava la biancheria, si occupa del pranzo e della cena, della sua prole e del suo compagno; una serie di eventi normale per una donna sposata. Un giorno, in occasione della fiera dell’Illinois, i figli lasciano la casa con il marito e Francesca confessa che non vedeva l’ora che voi andaste via. Lei ha così del tempo per restare da sola. Una presenza occupa il vuoto lasciato dall’ambiente familiare, così come in quella Giornata particolare di Ettore Scola (1977), c’era Mastroianni a creare vita e disordine in una moglie già abbastanza sottomessa dal regime fascista e da quell’ordine che porta solidità ma anche morte. Un uomo dal volto segnato compare con una auto-jeep sul sentiero che porta da lì a casa sua, a pochi passi da Francesca che è in piedi. Robert (Clint Eastwood), le chiede se sa dov’è il ponte Rossmen, Francesca risponde con una serie di indicazioni, tra la quali figura il superamento di un cane rabbioso e giallastro, conclude che è meglio che lei lo accompagni di persona. Francesca è in auto con Robert, che si confessa come un fotografo della national geographic, con il compito di fotografare i caratteristici ponti di Madison County, Francesca accetta una sigaretta e le parla delle sue origini italiane, di Bari, Robert dice di esserci stato, prima di raggiungere Brindisi per imbarcarsi in Grecia, aveva trovato la città carina, così era sceso a dare un occhiata; questo modo di fare così libero e istintivo meraviglia Francesca, che inizia a vedere in lui una possibile realizzazione dei sogni coltivati durante la giovinezza. Arrivano al ponte Rossmen, Robert è sorpreso dalla peculiarità della struttura, punta il suo cavalletto e inizia a parlare di quel posto. Francesca è intanto già sul ponte, qualcosa in lei si muove, sente di provare un’attrazione per quell’uomo così libero, e apparentemente, sereno. I ponti di Madison County, una creazione cinematografica che dal punto di vista formale incarna bene un contenuto così breve temporalmente, saranno soltanto quattro giorni (così come i four days, il nome dell’album fotografico che Robert lascia a Francesca) lo spazio temporale dell’amore vero, ma intenso al punto da dare l’impressione di sostituire tutto il vissuto precedente per forza di espressione e per la vita emotiva che porta con sé. La fotografia, gli anni sessanta americani con le case di legno, le città con le insegne delle pompe di benzina, le colazioni con uova e pancetta, ci riporta all’opera di Joel Meyerowitz e di altri fotografi degli anni sessanta come Stephen Shore, William Eggleston. Ma non è soltanto la forma che trasmette bene un contenuto tanto pulito e onesto, ma i tempi di reazione all’amore, il dire si alle emozioni, il vivere il fascio di luce che proietta il desiderio soddisfatto. Robert è un fotografo della national geograhic, tranquillo, sereno, gira il mondo, afferma di sentirsi a casa in tanti posti meglio che in un solo posto, ha la sua ossessione fotografica, che come tutte le ossessioni non ha ragione, apparentemente. E’ ancora animato da un entusiasmo tiepido, anche se la sua gioventù e il suo brutto carattere, come dichiarerà a Francesca, sono oramai andati, anche lui ha avuto i suo sogni, l’importante è averli avuti, pur se questi non si sono realizzati. Non è più il giovane artista irrazionale, in grado di far ridere (come farà ridere Francesca, come mai aveva riso prima) si limita da giornalista a riportare razionalmente e in ordine una serie di asserzioni su un contenuto di un certo tipo, la poesia di Yeats o di Byron (quella stesso autore che compare sulla dedica del libro Four Days) si è trasformata in discorso razionale, l’anima dell’artista che ama sentire il blues alla radio, è stata incanalata nell’ossessione fotografica, perchè le ossessioni, nonostante Robert dica il contrario, hanno sempre una ragione. Qualcosa resta ancora, ma è stato raffreddato dalla ragione e dal buon senso. Francesca, ora madre di famiglia, ha spento i suoi sogni, quello di insegnare ad esempio, nella vita ferma e solida della madre, non ricorda più come si vive, talmente è rinchiusa nelle sue piccole cose. Si innamora di Robert e del suo temperamento da giramondo senza legami, anche se questo la spaventa, gli chiede infatti se ha anche delle amiche in giro per il mondo, ma lui gli rassicura che quello che è successo tra loro è diverso, come se tutta la sua vita precedente fosse un preambolo a quell’incontro fortuito. Sia Francesca sia Robert sono avanti con gli anni, ma ancora piacenti, in grado di vivere l’erotismo. In quel breve lasso di tempo che occupano per se stessi, si danno l’uno a l’altra senza sensi di colpa, scoprendo una complicità mai sperimentata prima. Ammirano i ponti di Madison County, oggetto del lavoro del reporter, come la figura di Francesca lo è per il cuore di Robert. Parlano dei massimi sistemi, del matrimonio, delle scelte, della solitudine, Francesca afferma che una donna quando decide di diventare moglie si assume le conseguenze della sua scelta, Robert, la invita a venire con lui, è quasi tutto pronto, il vestiario di Francesca è passato dal bianco pallido al rosso della vita e della corsa, rinuncia, Robert parte ed intanto il marito e i figli tornano dalla fiera. L’amore per il marito è forse, un amore razionale, di caratura inferiore a quello vero, un sentimento deciso, stabilito a tavolino dopo un calcolo riguardante le qualità del probabile compagno. Parlando del marito Francesca lo definisce onesto, gran lavoratore, un buon padre, tuttavia egli non gli dà la felicità, quella vera, basata sulla corsa e non sulla stasi. L’amore coniugale somiglia ad una farfalla in barattolo, come conservare quella vita in un contenitore e stillarne il contenuto un po’ alla volta, solo quando serve. Così la regolarità della vita di Francesca e la sua sublimazione in un regime regolare. Amore o distruzione? Restare e dare un futuro ai propri figli o distruggere e dare un futuro a se stessi? L’amore, frutto raro, resta qualcosa da respingere o nascondere, come le lettere nelle quali Francesca parla di quel segreto e in virtù delle quali è possibile la storia e il film. Si può vincere l’amore razionale con quello verace? Forse no.
Giovanni Sacchitelli