Io non ho mai imparato a cucinare.

Forse è per questo che Alfredo mi ha lasciata.

Ho frequentato anche un corso di cucina, ma ho abbandonato alla terza lezione, sicura che non sarei mai riuscita a superare il modulo sulla cacciagione.

Mia madre non ha mai fatto cenno a questo mio limite, lei è una di quelle donne convinte che se dei problemi non si parla, non esistono.

In famiglia hanno sempre vissuto la mia incompetenza culinaria quasi come una disabilità e alla cena di Natale tutti si raccomandano: “tranquilla, tu porta da bere!”.

Certo non è stato facile crescere all’ombra del mito delle polpette di nonna Cecilia, che si narra abbiano vinto il primo premio alla sagra di S. Antonio Abate, ma forse va detto che non mi sono mai davvero applicata.

Sarà per questo che quando ho dovuto ricominciare da capo, da sola, ho deciso di venire a vivere qui, nella vecchia casa di nonna, quella col giardino di ciliegi e la meravigliosa cucina con le maioliche.

Al momento ho solo utilizzato la teiera, eppure odio il tè e le tisane di ogni genere. Non sanno di nulla. C’è sempre qualcuno che te le regala, finisci immancabilmente col riempire il pensile di bustine.

 C’è quella energizzante, quella diuretica, quella rilassante, drenante o digestiva.

Creano in me aspettative molto alte, millantando effetti benefici quasi miracolosi e finisco puntualmente con l’annegare la mia delusione in delle semplici brodaglie bollenti.

Da quando sono qui ho molto tempo a disposizione, eppure mai una volta ho pensato di mettermi ai fornelli, mai una volta ho sentito l’esigenza di impastare, sminuzzare, sbollentare o mantecare.

Alfredo del resto lo diceva sempre: “ una donna che non sa cucinare è come un fiore che non profuma”.

Lo so, Alfredo era un idiota.

Lui adorava le tisane, ovviamente.

Ne beveva a litri. In certi ambienti potrebbe essere considerato un intenditore, capace di distinguere il ribes dai generici frutti rossi.

Le degustava come si degusta un pregiato vino rosso, lasciando me interdetta e sempre più scettica rispetto alle sue doti , che sapeva celare fin troppo bene, purtroppo.

Non so se fosse peggiore la sua arroganza o la banalità dei suoi pensieri.

Averlo sbattuto fuori dalla mia vita è stata la ricetta meglio riuscita.

Ricordo ancora chiaramente il momento esatto in cui ho realizzato che quell’uomo doveva sparire dalla mia esistenza con la stessa velocità di uno sputnik lanciato in orbita.

Era una mattina qualunque, come al solito ero in ritardo, cercando di infilarmi le scarpe mentre correvo dietro alla gatta, appropriatasi indebitamente delle mie pinzette per capelli.

Non ho idea di cosa stesse dicendo Alfredo, so per certo che parlava da almeno tre quarti d’ora, senza riprendere fiato.

Io lo ignoravo come sempre, perché la vacuità dei suoi discorsi non mi interessava minimamente e ascoltare anche un decimo delle sue parole avrebbe assorbito troppa della mia energia mentale, e io non potevo permettermelo.

Tecniche di sopravvivenza.

In un attimo la rivelazione.

Una frase giunse chiara alle mie orecchie : “ non sei capace neanche di preparare un caffè!”

In quel momento non risposi, dalle mie labbra non uscì un suono, il silenzio calò nella stanza.

Credo di non avergli rivolto neanche lo sguardo.

Per pochi impercettibili momenti rimasi immobile, quasi felice di quella sensazione di sollievo che stavo provando.

Era come se finalmente qualcosa o qualcuno mi stesse autorizzando a dichiarare quell’uomo davanti a me un imbecille con tanto di certificato annesso che lo testimoniasse.

Ho raccolto le mie cose e sono uscita come ogni mattina.

Non sono mai più tornata in quella casa, se non per recuperare la gatta.

Nel tempo trascorso insieme lo avevo sentito pronunciare infinite sciocchezze, parabole di estrema idiozia e delineare pensieri di tale pochezza che nulla poteva sconcertarmi più, e invece no, il caffè proprio no.

Ridurre il sacro rituale della preparazione del caffè, che per secoli ha appassionato filosofi e scrittori, alla mera banalità di una frase fatta, persino utilizzata come insulto, no, non potevo accettarlo.

La preparazione del caffè è quanto di più poetico e delicato possa esistere.

Richiede attenzione, dedizione, cura e Alfredo si era permesso di ridurla ad una pratica da nulla, ad una banalissima operazione di routine, per di più per svalutarmi ancora una volta.

Del resto a sua discolpa va detto che lui non potrebbe mai comprendere la poesia che c’è in una tazzina di caffè.

Un uomo così piccolo da non accorgersi neanche di essere insignificante, non può capire.

Il caffè è coinvolgimento di tutti i sensi, quando è ancora polvere, al tocco è morbido, leggero , quasi impalpabile.

 Il gorgoglio nella caffettiera è un suono capace di riportarti a casa, il suo odore penetra così profondamente da risvegliare anche i pensieri più sopiti.

Prepararlo è un’arte, non una cosa da nulla, necessita di accorgimenti: la giusta quantità d’acqua, la giusta quantità di polvere, nè troppa nè troppo poca, l’intensità della fiamma, la prontezza nello spegnerla.

Va sostenuta e coccolata la caffettiera e poi per magia ecco che sgorga.

E’ come se l’essenza della vita fosse contenuta in questi piccoli gesti: cura, equilibrio, pazienza, attesa e godimento del risultato.

Esattamente come nella vita.

Cosa ne poteva sapere il povero Alfredo?

Qui a casa della nonna ho recuperato una vecchia caffettiera, la preparo, la metto sul fuoco, mi accoccolo sulla poltrona, con le gambe che penzolano dal bracciolo e la gatta accucciata sullo schienale.

Aspettiamo.

“vedete quanto poco ci vuole a far felice un uomo?” diceva de Filippo brandendo la sua tazzina di caffè.

testo di Nicla Gadaleta

foto dal web

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