Viaggio al centro della terra
Il professor Sir Oliver S. Lindenbrook svolge tranquillamente il suo compito di accademico nell’università di Edimburgo. Valente professore di mineralogia (come Otto Lidenbrock, del romanzo di Jules Verne), non sembra interessato granchè al commercio umano, del tutto immerso nel suo lavoro scientifico, sia in aula, sia nel suo laboratorio. Nel giorno dell’anniversario del suo servizio riceve, oltre agli omaggi del suo uditorio di giovani geologi, una pietra lavica da un suo studente (Alexander ‘Alec’ McKuen). All’interno di questa pietra lavica si nasconde sotto forma di peso di piombo per le misurazioni, la via di accesso all’ignoto. Appassionante tanto quanto Voyage au centre de la Terre (Jules Verne, 1864) questa trasposizione cinematografica del 1959 rende onore ai tanti temi descritti dal romanzo. Non si può farne a meno se si vuole apprezzare al meglio gli effetti speciali, gli ambienti, le emozioni e i sentimenti di un film pioniero nel campo della fantascienza. Il professor Lindenbrook ottiene come regalo questa pietra pomice, chiede al futuro geologo suo allievo da che tipo di vulcano possa essere stato eruttato. Alec propone varie soluzioni, ma quella giusta corrisponde a Stromboli, isola poco distante dalla costa siciliana. Proprio come lo Stromboli dal quale verrano lanciati in aria i tre audaci del romanzo di Jules Verne, ne otterrano la conferma chiedendo ad un bambino piuttosto malconcio, idea straniera della popolazione italiana ottocentesca. Il professor Lindenbrook inserisce la pietra lavica in un forno per sperimentazioni scientifiche, avviene uno scoppio, la pietra nascondeva un peso di piombo che porta inciso qualcosa. La lingua è il runico, antica lingua parlata in Islanda, il nome è quello di Arne Saknussemm; questi è uno stimato uomo di scienza del secolo diciassettesimo custode di un segreto, la scoperta di un mondo sotterraneo che mai era stato percepito da occhio umano prima del suo viaggio coraggioso. Saknussemm lascia anche un messaggio, come raggiungere il centro della terra risalendo lo Sneffels, in Islanda, e procedendo all’interno di esso nella direzione creata dall’ombra di uno dei suoi picchi, lo Scartaris. Sia nel libro, sia nel film, la brigata si accinge a discendere nella bocca dello Sneffels; le differenze, nel libro ci sono soltanto tre partecipanti maschi (Axel, Otto Lidenbrock, Hans) nel film appare un’oca e una donna. La donna è Carla Goetabaug, vedova di uno scienziato prof. Goetabaug, che aveva provato a rubare l’idea di Lindenbrook. Rispetto al libro, il film vede degli avversari. Il professor Goetabaug, e il conte Saknussemm, autore dell’omicidio di quest ultimo. I fatti del romanzo, modificati e semplificati per ovvi motivi di tempo cinematografico, mantengono comunque il loro valore. I temi enunciati in Voyage au centre de la Terre riguardano essenzialmente il rapporto tra teoria scientifica e fatti. L’opera di Verne vuole essere un invito anti-aristotelico e galileiano alla visione di ciò che accade a dispetto delle ipotesi e del calcolo deduttivo. Axel, nel libro, giudica pazzo suo zio professore per credere che nel milleseicento un uomo abbia potuto raggiungere il centro della terra, con i mezzi insufficienti dell’epoca (ancora di più di quelli dell’ottocento, basti pensare alla lampada Ruhmkorff), non è un sostenitore dell’idea che la terra sia fredda all’interno perché professa il credo della scienza ufficiale che ha dedotto l’impossibilità di una temperatura fredda del nucleo e di tutti gli strati dalla crosta in giù e anche l’assurdità di un viaggio dentro di essa. Secondo la scienza ufficiale, la temperatura si alzerebbe regolarmente man mano che si scende al di sotto della crosta fino a raggiungere temperature di milioni di gradi arrivati al nucleo. Ma queste sono soltanto ipotesi, non sono certezza. Fino a che empiricamente non si dimostrerà il contrario, si tratta soltanto di ipotesi e non di teorie vere e proprie. Questo atteggiamento di messa in discussione della scienza ufficiale anima il viaggio della compagnia del professor Otto Lidenbrock. Nel film, come nel romanzo, è la meraviglia per l’ignoto a colorare gli occhi dei visitatori. Miniere di cristallo, oceani sotterranei, foreste di funghi giganti, animali che in superficie l’uomo ha conosciuto solo in forma fossile ecco apparire in vita pulsante; i fatti smentiscono ancora la teoria quando viene trovato uno scheletro d’uomo dell’epoca quaternaria, la palentologia ufficiale negava invece l’esistenza della nostra specie in questo periodo storico. In mare si assiste al combattimento di giganti ormai estinti, sulle coste enormi rettili cercano di assalire la compagnia, ma il forzuto Hans li respinge infilzandoli con una lancia come S. Giorgio con il drago. Viaggio al centro della terra è un libro che dovremmo leggere ad ogni età, adatto per la sua forma ed il suo tono agile a raccontare fatti filosofici importantissimi. Fa parte, insiema a ventimila leghe sotto ai mari, dalla terra alla luna di quella fantascienza pura, significativa, del tutto scevra della meschinità degli scrittori successivi novecenteschi. Il romanzo termina con un fallimento, del resto è il caso fortuito e non la certezza a dominare tutto l’impianto narrativo. La sensazione di stare nel gabinetto di laboratorio di uno scienziato, con le cose riuscite e quelle che non lo sono. Non riusciranno le brigate del film e del romanzo a raggiungere il centro, per deviazioni non previste o per fatti non previsti. Nel libro, una volta raggiunto il portale che conduce al centro della terra, la compagnia cerca di accedervi innescando uno scoppio, questo provoca un terremoto, che sbalza la zattera fino a portarla alla cima del vulcano in esplosione a Stromboli. Non sono eroi veri e propri, il centro della terra resta ancora ignoto, ma questo è il vero cammino della scienza, e non deve essere interrotto, così dice il professor Lindembrook ala fine del film. Congetture e confutazioni, citando Karl Popper. Inutile spendere parole sul fascino che un simile tema può produrre su ogni intelletto raffinato, a partire dalle illustrazioni dell’edizioni originale, belle proprio per la loro essenzialità. Non è un libro per ragazzi, Verne era un genio, ed il genio scrive per tutti.
Giovanni Sacchitelli