Un deserto
Ti ho vista, in una notte amaranto d’autunno, mentre mi restituivi il mio pegno d’amore guardandomi con i tuoi occhi da pirata.
Eri così bella che mi sono fatto piccolo piccolo, avrei voluto scomparire in un bicchiere di vino e lasciarmi dimenticare sul fondo, come la posa di quello fatto in casa. Oppure rendermi evanescente in una poesia scritta per te: una bella, però, che ti renda orgogliosa di avermi avuto accanto per quel pezzo di vita che abbiamo nascosto fra gli alberi di una foresta che ci portava lontano da qua, nelle città eterne e in quelle arancioni, nei conventi e nelle fughe per la libertà. Non in questi sudari di parole che poi non so dove mettere, e li leggo imbarazzato davanti ai miei compagni d’inchiostro che scorre nelle vene al posto del sangue.
Dopo che sei evaporata nel fumo di una sigaretta immaginaria, sono rimasto ad ascoltare il mio corpo che, invece, di farsi evanescente non ne voleva proprio sapere, e ha atteso invano nella notte uno sfogo liberatorio; gliel’ho negato perché gli rimanesse addosso la sensazione di quella bellezza inaccessibile, tanto da non volerla sfiorare neanche con la fantasia.
Partirò. Sarà una fuga clandestina, con i droni che mi sorveglieranno dall’alto e un tentativo di confondermi fra la folla, dove le strade non hanno nome. Ci sarà un deserto, lì, arido come le notti senza birra e immenso come Zabriskie point. Nel deserto, però, da soli ci si muore.
Testo di Manlio Ranieri
Photo credits unsplash-logoRyan Cheng
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