I pattini rossi
E’ il mio compleanno. I miei amici sono qui solo perché il locale è bellissimo. Vado un attimo in bagno che ho bevuto troppo. C’è fila. Quando torno al mio tavolo non c’è più nessuno. “Stronzi!” Raccatto il mio cappotto sotto il tavolino e noto un paio di pattini rossi. Li indosso, è la prima volta. Esco. La strada principale, me la sto cavando. Il mio portone, L’ascensore. Casa. «Ti sei divertita?» «Tantissimo mamma» «Ma che roba è? Togliteli!» «No, voglio tenerli!» « Ti sembra il momento di fare i capricci?» «Sì, vai ora. Buonanotte». Io non me li tolgo più i miei pattini rossi !. La sveglia suona e scivolo in bagno. Metto la tuta così non devo togliere i pattini, neanche un secondo. «Non puoi andare a scuola così!»
«E invece sì!» Ascensore, portone, la strada. La velocità che aumenta. Io a scuola non entro. I miei pattini sono magici, ne sono sicura. Piove. C’è un palazzo abbandonato. Ci entro. Spazi enormi senza ostacoli, tanti ragazzi con pattini diversi. Un tizio mi accarezza, ma i pattini mi fanno dimenticare tutto. Ci sono infinità di strade, voglio vederle. Lascio fare ai miei pattini rossi. Sono sul ponte della città. Grande. E’ diventato molle, ho la nausea; lo sanno tutti che dopo il ponte si imbocca la discesa e che, se non rallenti, finisci dritto, dritto in mare. Vorrei potermi fidare ancora dei pattini, ma non si slacciano, capricci pesanti. L’acqua è troppo fredda. Pattini pesanti. Poi uno strattone. Poi una bocca sulla mia bocca. Qualcuno mi strappa via i pattini. Libera! Sono libera? Riemergo. Mi porterò la fame d’aria per tutta la vita. Quando arriverò a casa sarò quasi asciutta. Nel nostro mare vivono le sirene e credo di aver sentito il loro suono. Libera! Libera? La strada, il portone, l’ascensore. Scalza.
Uno scritto di Gaia Favaro
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