In evidenza: Fulvio Roiter, Carnevale a Venezia, 1988 © Fondazione Fulvio Roiter

Una foto del fotografo  Fulvio Roiter, che rappresenta il Carnevale di Venezia. Una scelta non casuale, il carnevale è infatti, secondo il pensiero di Michail Bachtin (autore che ho affrontato da diverse angolature, sia nella formulazione del romanzo come punto di incontro delle due culture, quella alta e quella bassa, codificato in Estetica e romanzo, nell’applicazione di questa teoria nel celebre studio, sua tesi di dottorato, su Rabelais, sia nella filosofia del rapporto tra autore e eroe) è la sovversione dell’ordine costituito, il rovesciamento, la detronizzazione dell’alto. Il palco dei buffoni, delle maschere, dei saltimbanchi, è teatro di abbassamento e contatto con gli strati del basso, del popolo. Il romanzo è tale se porta in sé questo contatto dialogico  tra le due sedi dell’umano. La cultura ufficiale ed il potere che ne consegue con gli strati più bassi della società. Sto semplificando molto, ma il concetto base è questo.

Durante il mio periodo universitario ho scritto molte cose, sia per quanto riguarda l’argomento puramente poetico che appunti o glosse a libri che stavo leggendo, soprattutto romanzi, che mettevo accanto alle mie macchinose e intricate letture filosofiche; mi piaceva trovare dottrine teoriche nelle parole dei grandi scrittori, fuori dalle interpretazioni troppo schematiche della letteratura, penso ad esempio alla teoria freudiana della letteratura o alle architetture strutturaliste. Nella mia tesi di laurea mi sono dedicato ad un teorico della letteratura, non certamente matematico ed esatto nella sua formulazione, e che va definito più un filosofo o antropologo che un teorico esatto dell’arte. L’autore è Michail Bachtin, filosofo, critico letterario e antropologo russo. Dico questo per giustificare il mio approdo a studi più letterari che propriamente metafisici, forse perché la verità non si manifesta mai in maniera esatta e geometrica ma ha bisogno del supporto mobile del dialogo letterario come quella cattiva infinità (senza fine) dei dialoghi di Dostoevskij. Mi piaceva individuare con quel gusto istintivo (il gusto, una qualità determinante nello scegliere un uomo, ne parla Lucy Snowe, protagonista di Villette di Charlotte Brontë ) di cui mi vanto in maniera immodesta, i poeti più adatti ad esprimere i moti del cuore, perché la letteratura, come disse una volta Umberto Galimberti, aiuta  a leggere i sentimenti, a ritrovarli esibiti, utilizzando un termine filosofico; apprezzando infinitamente l’anima inglese delle sorelle Brontë (Wuthering Heights, Agnes Grey, The Professor, Villette, Jane Eyre, The Tenant of Wildfell Hall), continuando con i sonetti shakespeariani, la poesia e le novelle di Poe, i racconti di Maupassant (bibbia infinita di lezioni sulle condotte umane), o la letteratura francese di Flaubert, Balzac, Stendhal. La letteratura al pari dell’arte, rappresenta e dà vita a caratteri che restano come incastonati in un disegno superiore dove l’architetto scrittore ne dà vita propria, come i personaggi della comedie humaine del mondo di Balzac che acquistano una vita propria, rispondendo delle loro azioni come teoremi che discendono dagli assiomi in maniera automatica e spesso inaspettata. Flaubert, nella sua magistrale Educazione sentimentale, riesce meglio degli scrittori russi, penso in modo particolare all’esistenzialismo di Dostoevskij, a dare alla realtà una sua forma compiuta, affrescando le pagine con gli amori impossibili di Frédéric Moreau e portando valore estetico ed estetizzante con quella ricerca del bello, (in Novembre, scritto giovanile di Flaubert e preambolo all’Education, il giovane gustave odiava istintivamente tutto ciò che era brutto, gli individui brutti erano in preda a pensieri meschini) che culminerà nella rinuncia alla fama (la fama ed il successo lo facevano ridere, cfr. Memorie di un pazzo) e all’amore come unica occupazione. Arnaux, il commerciante d’arte con un gout artistico confinante con l’artigianato non avrebbe mai potuto raggiungere l’arte. L’educazione sentimentale, a differenza di Madame Bovary, è una vera e propria educazione al non-sentimento, pena la rovina e il fallimento; più forte del romanzo realista di Balzac, ritenuto da intellettuali come Georgy Lukacs, il mastro nella rappresentazione della realtà, tuttavia, oltre ad essere di difficile lettura, manca di bellezza. La bellezza della prosa di Flaubert, già intuibile nello scritto giovanile Novembre (1842), avrà il suo piano completo di espressione in Madame Bovary (1856), ma soprattutto nell’Educazione Sentimentale (1869), miniera e cattedrale di significati. Tutto: politica, amore, affari, commercio, cultura, è messo in atto, in un’orchestrazione che ha pochi pari. In Italia, D’annunzio ricalca lontanamente la prosa aulica ma solida del gemello francese Flaubert. Non amo particolarmente la letteratura italiana, la ritengo troppo umana e discorsiva. Gustave Flaubert, dunque, è parte della letteratura impegnata. Riesce meglio di altri tentativi letterari, a cogliere l’essere in movimento. Il bambino Gustave, l’adolescente e poi l’uomo maturo, sono quello che siamo stati tutti noi, la sua è una prosa reale, difficilmente si ritrova una descrizione dei più minuti movimenti del cuore in un altro prosatore. Il bello contro l’utile, Flaubert come Baudelaire.

Giovanni Sacchitelli

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