Selfie harm, il progetto fotografico che ci impone una riflessione sul rapporto social media, immagine e percezione di sé
Selfie harm: il progetto fotografico che indaga l’impatto dei social media sull’immagine e la percezione di sé
“Selfie harm”è il titolo di un progetto fotografico di John Rankin.
Il fotografo ha deciso di scattare una sequenza di ritratti a quindici giovani, ha poi consegnato loro le foto incaricandoli di modificare o correggere l’immagine per poterle pubblicare sui social.
Le fotografie modificate hanno lasciato di stucco John Rankin; non si è visto recapitare scatti leggermente modificati, ma addirittura immagini con soggetti modificati o sostituiti da alter ego perfetti: grandi occhi, labbra carnose, pelle perfetta e zigomi alti.
Ai ragazzi sono bastati quindici minuti e applicazioni gratuite scaricabili su qualsiasi smartphone.
Ciò che ha stupito il fotografo è che i ragazzi hanno dichiarato di preferirsi al naturale ma di aver modificato le fotografie a causa dell’”imposizione” dei social alla perfezione.
“È tempo di riconoscere gli effetti dannosi che i social media hanno sull’immagine di sé “, ha scritto Rankin su Instagram.
Riguardo a Photoshop, per il quale il fotografo ha ricevuto in passato pesanti critiche per l’utilizzo che ne ha fatto, dice “Ad un certo punto le celebrità, i marchi e le riviste non hanno più potuto fare a meno del fotoritocco, è diventato una parte importante anche del mio lavoro, e tutto il sistema è cambiato. Questi filtri sono però qualcosa di molto nuovo e, a mio avviso, molto più pericoloso e complesso, parte di un’enorme questione sociale di cui si parla, però, così poco”.
Secondo voi quali sono le conseguenze profonde di questa non accettazione della propria immagine?
Rifletto sul fatto che non è un fenomeno che interessa solo i giovani, anche gli adulti ne sono vittime.
Cosa ne pensate? Cosa possiamo fare per dare un valore di qualità alla nostre foto e alla nostra vita?
E ancora quanto siamo tutti più o meno condizionati da quello che accade nella mentalità collettiva?
E’ ora di sensibilizzare davvero. Non rendiamoci prigionieri.