Wuthering Heights
Come fu per Heathcliff il passaggio da uno stato della vita infantile a quello più maturo degli anni successivi al suo matrimonio con Isabella Linton in contemporanea all’unione di Catherine con Edgar Linton così Wuthering Height, emblema della vita nelle brughiere desolate inglesi, come furono le stesse dell’autrice Emily nello YorkShire e rappresentate molto elegantemente e in maniera originale dalla mia musa ispiratrice in ambito musicale, Kate Bush nel suo singolo omonimo (Wuhering Heights, The Kick Inside, 1978, su questo argomento vedi un mio precedente articolo: Beautiful Kate). Cime tempestose è emblema di quella possibilità dell’anima, di cui tanto mi piace pensare riguardo all’esistenza in generale e ai suoi canoni di condotta e di unione matrimoniale; romanzo gotico, unica produzione di Emily Brontë oltre alle poesie, è l’idea di una fase matura della vita sentimentale che non può manifestarsi in tutta la sua spontaneità e con il suo carico di emozioni forti. Wuthering Heights, è la possibilità dell’anima nel senso di possibilità di un vissuto autentico e percezione degli stati dell’essere che ci circondano in maniera piena ed autentica. L’anima, ovvero quella visione pura delle cose, è presente nell’infante in maniera netta; il bambino dà tutto spontaneamente, non c’è in lui una mediazione tra pensiero e azione, è tutto istinto. Perché non ha ragione delle convenienze sociali, non ha abitudine alla maschera e alla menzogna, ha ancora un’anima. L’anima è cosa anche degli adulti, ma lo è in maniera indiretta e carica di inibizioni e maschere sociali. Parlare di possibilità dell’anima, vuol dire parlare dell’espressione autentica di sé fuori da ogni controllo sociale di linguaggio, modi, maniere, gusti. Heathcliff, personaggio aspro e se confrontato al suo rivale, grezzo e incolto, tanto che è proprio per questo motivo che Catherine preferirà Edgar Linton che sembra avere acqua al posto del sangue, dice di avere in comune con Catherine Earnshaw, il cuore profondo; questo modo di essere, nell’architettura generale del pensiero di Bronte e delle Bronte, dato che in tutti i prodotti letterari di questi autentici genii femminili si parla di possibilità dell’anima (tutti i romanzi delle sorelle Bronte sono un dilemma tra natura selvaggia e civiltà, divario netto nel pensiero di Rousseau nel suo Emile, basti pensare alle lunghe digressioni della protagonista di Villette [1853, Charlotte Bronte] e alla sua concezione della tristezza della vita civile. Heathcliff, divenuto un gentiluomo, a malapena riesce a tenere a bada le sue reazioni animalesche alle cose che lo riguardano, è il prodotto di una civiltà mediocre che lo ha incanalato nelle vesti strette di un rispettato proprietario terriero e affittuario contro la sua natura ribelle, e il suo rotolarsi nell’erba, come nell’infanzia condivisa con Catherine, quando l’anima era possibile. Chi non ha abitudine al pensiero o non ha mai letto un testo critico penserà a queste mie definizioni come ovvietà, trascurando invece la storia di ogni termine; Anima, come la intendo io, è la percezione netta di ogni stato che è sottoposto alla coscienza, in cui il ruolo della ragione è debole e poco incisivo. Natura e ragione, o istintivo e civiltà sono la diade concettuale che caratterizza l’essere umano dalla sua nascita, passando per l’adolescenza, la maturità, fino alla sera della vita. Il risultato del nostro modo di essere durante queste fasi è la conformazione in maniera diversa, a seconda del contesto in cui ci è dato vivere, della parte istintuale da parte delle leggi della vita associata. Cime tempestose, è un prodotto letterario sull’impossibilità dell’anima, ovvero sul ruolo preponderante della ragione contro le passioni (termine inteso in senso ampio, non soltanto passione amorosa), per il lavoro silenzioso delle leggi della vita civile. Quando è stato scritto Cime Tempestose (1847) ovvero durante la reggenza della Regina Vittoria, la passione doveva essere tenuta a bada dalla razionalità, dalla serietà, dall’austerità, dal grande riserbo in materia sessuale e soprattutto difendersi da tendenze pericolose come quella del romanticismo, emblema del ruolo dell’irrazionale e dell’indefinito. A prescindere dalla collocazione storica, facendo parlare il testo, e ammirando la bellissima prosa di Emily, più scura e dalle tinte gotiche rispetto a quella delle sorelle, possiamo leggere la storia pura dell’anima, dall’infanzia, fino alla sua impossibilità, con la fine tragica di Catherine e la successiva morte misteriosa di Heathcliff. Tutto termina con la morte, l’anima è impossibile, quelle stesse strutture di pensiero che erano pratiche nell’infanzia periscono nella maturità. Non c’è più spazio (vedi l’infinita distanza, mio articolo di un po’ di tempo fa) per l’espressione autentica dell’anima. L’opera delle sorelle Bronte piace proprio per l’anima espressa in maniera spesso infantile, ed è un grande segno di coraggio.
Giovanni Sacchitelli