Ermeneutica del comico
Il ruolo del riso e del ridere nella società moderna è argomento del comico inteso come deframmentazione degli stili di comportamento classici ai fini di una visione più leggera delle cose; ne consegue che il riso si contrappone all’austerità o serietà che non ammette attenuanti. Quando ridiamo di qualcosa avviene entro noi stessi un momento catarchico medante il quale riusciamo a prendere le distanze da un evento assurdo o grottesco. Il riso è dunque contrapposto all’austerità e da essa spesso discende in maniera incontrollabile, soprattutto quando si intende la serietà come qualcosa di sempre uguale a se stessa. C’è chi pensa seriamente che essere seri sia non ridere mai, mantenendo una facciata esterna di apparente immobilità che è garanzia di essere responsabili e affidabili; per poi distruggere questo ancoraggio con una parola inaspettata, spesso poco intelligente. La maschera cade, la finta serietà viene a galla, sgorga il riso. La cosa sorprendente, che probabilmente discende da un meccanismo di mimesis (imitazione) è che la struttura classica dell’uomo moderno (maschera + riso potenziale) porta alla costruzione di intere piramidi sintattiche nelle quali domina il buon senso, la prosa asciutta, la moderazione, la sobrietà, per poi inibire tutto questo per un’esplosione di riso scimmiesco. In un mio articolo (Dialettica della stupidità) avevo pensato di associare la grande capacità di serietà formale al meccanismo dell’evoluzione, lo stesso discorso vale per la struttura maschera – riso potenziale. Parlo di uomo moderno proprio in virtù del fatto che questa struttura risulta essere la più diffusa, tutti sono così; alcuni però hanno più intelligenza della maschera e di se stessi. Questo risultato formale va imputato come per le patologie psichiche (vedi normalità e patologia) allo sviluppo della società moderna e ai suoi paradigmi teorici e pratici. In breve: essendo la società moderna più articolata e ricca di stimoli di quelle dei secoli passati, è più probabile imbattersi in idee comiche e idee gravi, così che è stato necessario creare una struttura psicologica interna fissa (trascendentale, filosoficamente parlando) che permetta di barcamenarsi nel marasma ideologico moderno. Questa struttura viene acquisita nel tempo e permette agilmente di muoversi nell’assurdo contemporaneo. La struttura trascendentale di maschera + riso potenziale si fonde con L’Io delle categorie kantiano e lo sostituisce nella nuova forma della conoscenza. La consapevolezza più o meno ampia di se stessi nel lavoro di attività della maschera + riso potenziale dà vita a dogmi sanzionatori come quello di Padre Jorge da Burgos nel Nome della Rosa (Umberto Eco, 1980): verba vana aut apta risum non loqui (non dire parole vane o che inducono al riso). Visione, quest ultima, cattolica del riso come atto che deforma il viso degli uomini rendendoli simili alle scimmie, infatti, sempre citando Jorge, Cristo non rideva mai. Non a caso il protagonista del libro è il libro sulla commedia di Aristotele, di dubbia esistenza o attribuzione; c’è chi è nel meccanismo attivo della struttura maschera + riso potenziale ma cerca di uscirne fuori, ammettendo l’esistenza di dogmi assoluti, del sempre. Non esiste un sempre nell’essere umano. Tutto è circostanziato a determinati momenti, così come il riso o la serietà. Non si può ridere sempre, non si può essere seri sempre. Perché? Il riso è anche, fisiologicamente, la liberazione di energie in eccesso che sono state immagazzinate quando si era seri. Il bisogno di ridere è dunque fisiologico, se questo bisogno non viene espletato, avviene l’inutile esaurimento nervoso (cit. Bachtin), ovvero l’eccesso di energie che non viene livellato. Queste energie, stando più del dovuto nel cervello, si trasformano in negative e creano delle concezioni distorte e lesive per il soggetto. Ridere inoltre, senza eccedere ovviamente, permette di liberare determinate sostanze vitali per il cervello e l’organismo. L’essere umano, essendo parte del regno animale, vive in linea con la natura, quindi è creato internamente affinché in esso si ricreino i ritmi fine-inizio che sono caratteristi del regno naturale. La curva della vita si alimenta di opposti, lo sviluppo nel tempo è possibile solo se si alternano tra loro stati opposti; tutto è il movimento negli esseri umani, nulla si ferma. Nulla è sempre identico a se stesso. Non ridere mai, inoltre, deforma i lineamenti, come quel circolo di atleti che Thomas Mann in Tonio Kröger facevano il muso lungo. Detto da uno scrittore complesso come Mann quell’espressione è feconda di visioni sull’esistenza. Fare il muso lungo significa appunto fare il serioso, nemmeno il serio. Fare non essere. Chi lo fa, spesso non lo è. Ma ormai nella società dell’apparire è dominante il fare come se. Anche l’eccesso di riso va regolamentato. Se eccediamo con un modus operandi otteniamo effetti negativi. Ridere troppo altera la struttura normale dell’individuo (quella che si alimenta di opposti) e crea anche uno squilibrio fisiologico, liberando troppe energie psichiche. Il comico, come genere che cura gli interessi di questa sezione dell’uomo, non è qualcosa da nascondere, da censurare o da vivere solo mediante determinate forme di espressione artistica. Il riso deve essere vissuto sua sponte, perché è necessario per il corretto funzionamento della nostra psiche. Ho ripreso questo tema che già avevo sviluppato in Dalla parte di Fantozzi, però adesso mi soffermo non tanto sul perché ridiamo della comicità all’italiano quanto su ciò che ride. Sulla struttura conoscitiva che si concede il riso. Ho detto sopra che questa struttura, in seguito all’evoluzione, risulta molto diffusa, ed è questa forma della conoscenza che ride dell’espressioni artistiche comiche.
Giovanni Sacchitelli