John Batho
In evidenza: John Batho, from series Photocolore, 1975-1986
Fotografia e pittura insieme raggiungono la realtà, in maniera differente, pur attingendo ad un medesimo sostrato; giungere alla cosa in sé attraverso i mezzi diversi della tela o di un obiettivo fotografico, presuppone comunque l’esistenza di un’unica realtà condivisa, che viene sottoposta ad un’azione rivalutatrice. Se pensiamo alle basi dell’ermeneutica artistica abbiamo due cose innanzitutto: 1) la realtà in sé 2) il soggetto che la conosce. Il soggetto inteso come artista ha delle categorie diverse rispetto al soggetto della scienza o del senso comune, pur condividendone alcune attività di organizzazione. Se vediamo un albero in un prato, questo stesso sarà un ente di natura simpliciter (un elemento vegetale) oppure un oggetto artistico. L’oggetto artistico esiste solo in quanto pensato da un soggetto specifico: l’artista. In quale specifico momento della storia dell’umanità si è pensato di guardare un albero non solo per le sue qualità biologiche o come materiale, ma anche per ciò che lo fa bello? Non tutti gli enti di natura sono belli, ciò che è predicabile con “bello” deve avere qualcosa di speciale rispetto alle cose che non lo sono. Non sempre si è guardato alle cose che ci circondano con un occhio estetico ed estetizzante, le prime forme di arte primitiva erano segni su pareti di roccia per rappresentare funerali. Fine di qualcosa e bisogno di conservazione. Immanuel Kant nella Critica del Giudizio (1790) fa una precisa distinzione tra il piacevole e il sentimento del bello; il primo mira al possesso dell’oggetto, il secondo no. La bellezza è guardare a qualcosa senza il desiderio di possederlo. Non che se vediamo un bel dipinto non possiamo farlo nostro, si tratta di atteggiamenti gnoseologici astratti. Il sentimento del bello è legato alla conservazione. Quando un oggetto viene spostato in un museo, allora diviene artistico, dunque bello. Il museo, mi pare ovvio, è il luogo principe per la preservazione dei beni culturali. L’albero, di cui sopra, non è più soltanto linfa, radici, processi biologici automatici (perfezione esterna frutto del lavoro dell’evoluzione), ma diventa protagonista di un bel quadro paesaggista di Lorrain, del Pellegrinaggio a Citera di Antoine Watteau, o oggetto preferito dell’obiettivo fotografico. Tuttavia alla base di questo procedimento c’è sempre la medesima cosa in sé che resta ancorata al mondo della natura, che è muto e non ha coscienza di se stesso (o se ha coscienza,come negli animali, non ha senso estetico). La realtà resta quello che è. La pittura o la fotografia interpretano questo sostrato in maniera virtuosa, facendoci sperare che rivestendo il mondo delle cose di un occhio estetizzante la realtà quotidiana sia più accettabile. Pulchritudo salvabit mundum? Si legge in un romanziere russo. Si la bellezza salverà il mondo. In queste azioni di salvataggio o rivalutazione si inseriscono le attività di fotografi importanti come John Batho. L’azione salvifica di questo fotografo francese (Nato nel 1939 iniziò a fotografare nel 1961. Nel 1963 iniziò una ricerca che affermava una visione personale della fotografia a colori. Le sue opere, distribuite a partire dal 1977 dalla Zabriskie Gallery di Parigi e New York, sono distribuite a livello internazionale. Dal 1983 al 1990 è stato docente all’Università di Parigi VIII nel dipartimento di Arti visive.) pone in essere un ottimismo di visione, simile all’azione dell’italiano Franco Fontana (vedi le serie Los Angeles paesaggio urbano 1979, paesaggio italiano) che ci mette in condizione di amare il creato ed essere fieri di avere razionalità. Adorabile la scala cromatica della serie parasols (1977-2004) fatta nella località marittima di Deauville. Questa serie unisce in sé la quiete degli ambienti marittimo-turistici con una forma circense che viene fuori gioiosamente dalla disposizione dei parasols (ombrelloni con intorno tele protezione del sole, simili a tende per circensi). Questo connubio di circo (sinonimo di gioco, di entusiasmo) e sabbia ci rende lieti. La fotografia artistica e di qualità (quanto quella di Bernard Plossu) apre la strada al contatto con la pittura, risalta determinate varianti di bordeaux e di rosso, alimenta la nostra mente con rappresentazioni felici. Questo ottimismo di visione non poteva non confluire nella serie rotors, scatti in movimento ad una giostra in un Luna Park (vedi anche manèges (1980-1982)); il rosso vitale tipico dell’arte di Batho, si unisce con il prato nella serie déchirés (1980-1982), in un ossimoro di rosso e verde prato assimilabile alla Versailles di Luigi Ghirri (1985). «Je voulais savoir ce que la photographie pouvait avoir à dire au sujet de la couleur. La couleur, dépendante de la lumière, est un sujet en soi. Je me suis posé la question de l’éclairement, cherchant le meilleur placement pour capter la lumière qui fait retour de l’objet vers l’appareil, afin de l’inscrire finement, de matérialiser la couleur de façon satisfaisante » [John Batho]
Giovanni Sacchitelli